Mons. Mario Delpini presiede a Caravaggio una riunione della conferenza episcopale lombarda, al termine della quale viene messo un documento molto chiaro, che pone al primo posto tra le preoccupazioni di un futuro governo nazionale “la famiglia, e in particolare la sua capacità di donarci il futuro attraverso le nuove nascite”. Al secondo “i giovani, sviluppando progetti per il loro futuro anzitutto lavorativo: soltanto in questo modo i giovani potranno sentirsi parte attiva e motore del rinnovamento sociale”, nonché incoraggiati a sposarsi e a fare molti figli, eliminando le pregiudiziali economiche a riguardo.
L’arcivescovo di Milano sceglie di scrivere personalmente ai diciottenni ambrosiani, che il 4 marzo andranno per la prima volta alle urne. Hanno le medesime ansie e contrarietà dei coetanei del resto d’Italia, tuttavia mons. Delpini li esorta a prendere in mano la loro vita anche dal punto di vista della responsabilità elettorale. “Auguro che per tutti sia una festa: la festa di essere vivi, la festa di essere giovani, la festa della responsabilità. Anche se non per tutti la vita è stata facile in questi 18 anni, anche se molti hanno già attraversato dure prove per motivi di salute, per relazioni tempestose con i genitori o con esperienze affettive, per problemi economici o di inserimento negli ambienti della scuola, dei coetanei, tuttavia la grazia della vita rimane il dono inestimabile”.
Festeggiare la propria maggiore età senza assumersi le responsabilità conseguenti al passaggio “è come restare bambini, diventati grandi, ma rimasti nella condizione di essere accuditi, assistiti, accontentati”. La scadenza elettorale può essere un’occasione provvidenziale per comprendere come ora si sia posti sul proscenio del mondo. “A 18 anni si diventa pienamente responsabili dei propri atti a livello civile e penale: la libertà si confronta con la legge come garanzia del bene comune, del rispetto dei diritti di tutti. E’ il segno che l’appartenenza alla comunità non è solo il diritto di ricevere prestazioni, ma il dovere di rispettare le regole e di partecipare con le proprie risorse e con il proprio comportamento alla convivenza dei cittadini”.
Spesso, però, “a 18 anni si sperimenta, io credo, una specie di contraddizione tra il fatto di “avere tutti i diritti e doveri” di un adulto e l’impressione di “non poter fare niente”. Un diciottenne nel nostro paese è considerato “troppo giovane””, ma non per votare. Il voto è il kairos (momento propizio) nel quale si avverte che qualcosa è cambiato davvero. “Se tu manchi viene a mancare un patrimonio e se tu non partecipi ti riduci ad essere un peso solitario”.
Ecco allora l’appello conclusivo della lettera: “io credo che voi potete informarvi, voi potete pensare, potete discutere, potete farvi una idea di quale direzione intraprendere e di come fare del vostro voto, il vostro primo voto!, un segnale di un’epoca nuova. (…) Io ho fiducia che questa vostra generazione può reagire all’inerzia, allo scoraggiamento e all’individualismo e dare un segnale a tutti gli adulti e alla classe politica e amministrativa” chiaro ed inequivocabile. Se il futuro sarà diverso, lo si dovrà soprattutto ai giovani, che costituiranno la classe dirigente di domani.