La Conferenza Episcopale Lombarda, presieduta dall’arcivescovo di Milano mons. Mario Delpini, pubblica un documento molto articolato in occasione della Giornata del malato (11 febbraio).
Non sfugge a nessuno che la cosiddetta legge sulle “DAT”, approvata a dicembre dal Parlamento, abbia radicalmente modificato il quadro della tutela del malato in Italia e messo drammaticamente in pericolo la stessa esistenza dei nosocomi di ispirazione cattolica, minacciati in particolare dall’assenza di garanzie riguardo l’obiezione di coscienza. Proprio per questo i vescovi della Lombardia si rivolgono ai cattolici che prestano servizio nelle strutture sanitarie (sia statali che private) ribadendo loro i capisaldi dell’ottica cristiana ed esortandoli a fare fronte comune.
“Gesù stesso nella sua missione ha dedicato molto tempo all’incontro con i malati. Durante la predicazione della buona novella del Regno si è fatto prossimo a coloro che erano nel bisogno; ha risanato, confortato, ridonato la vista ai ciechi (Gv 9,1-41; Mc 10,46-52), fatto udire i sordi e parlare i muti (Mc 7,31-37); ha fatto camminare il paralitico (Lc 5,17-26) e soprattutto ha donato a tutti la certezza di essere amati da Dio. Egli non solo ha guarito; si è realmente “chinato” sull’uomo infermo”, che ai Suoi occhi continuava a possedere una dignità inalienabile. Il mondo del I sec. d.C. vedeva nel malato un pericolo per la salute pubblica, quello del XXI sec. lo considera un aggravio per l’erario.
L’atteggiamento di Gesù “si è prolungato nel tempo della Chiesa” tramite l’azione dei Suoi discepoli di ieri e di oggi. La sanità contemporanea valorizza di positivo la riscoperta del valore della “relazionalità”, tuttavia la legge del dicembre 2017 conferma una tendenza che favorisce una forma di asimmetria speculare alla tanto temuta “dittatura del medico”, trasformandola nell’acquiescenza acritica al volere del paziente.
Ritorna quindi ancora più impellente la testimonianza degli ospedali e delle cliniche cattoliche, riguardo alle quali si devono mobilitare pure quei cattolici che non sono medici o infermieri. “(…) è importante che tali Enti coltivino un nesso costante con la comunità cristiana. Essi trovano qui le loro radici. Le nostre Chiese devono sentire questi enti come realtà espressive della carità cristiana. I fedeli sentano come “proprie” queste opere”, da difendere con la stessa alacrità con la quale ci si batte per tenere aperta la scuola cattolica presso la quale si iscrivono i figli.
Lo scontro, ancora in corso, tra la Santa Sede e il ramo belga della congregazione dei Fratelli della Carità (2017), avvenuto perché quest’ultimo ha permesso l’attuazione dell’eutanasia all’interno degli ospedali di sua proprietà, ha suggerito ai vescovi lombardi una ammonizione. “Il valore degli Enti di ispirazione cristiana non si esaurisce nell’ambito della supplenza nei confronti dello Stato; essi mantengono il loro valore nella misura in cui sono capaci di offrire un servizio qualificato, in cui si possano riconoscere chiaramente le caratteristiche di una cura integrale della persona, espressiva di un’autentica visione dell’uomo che scaturisce dal vangelo di Gesù”. Associarsi tra ospedali cattolici è consentito solamente come rafforzamento della testimonianza di un modello “altro” di cura rispetto a quello propagandato dal laicismo.