L’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, valica nel pomeriggio dell’8 marzo la soglia dei padiglioni del Politecnico, dove è stato invitato a parlare alla comunità universitaria del Sinodo dei vescovi sulla pastorale giovanile e vocazionale che si terrà in ottobre in Vaticano. Prendendo spunto dal manifestarsi in quelle ore dei primi segni della primavera meteorologica, mons. Delpini condensa la proposta del futuro Sinodo nel voler trasformare tutti i ragazzi in “angeli della primavera che dice a questo mondo europeo stanco, lamentoso e complessato un “rallegratevi perché siamo qui per cambiare questo mondo””.
La primavera diventa così metafora della nuova evangelizzazione. “Ho molta stima di voi che studiate e prendete sul serio la vita. Cosa aspetto da voi? Che i cattolici abbiano voglia di percorrere strade insieme” per far riscoprire ai loro contemporanei la bellezza della Fede cattolica. I laicisti dicono ai credenti che sono “fuori tempo”. La parola del credente è, invece, pertinente in ogni epoca e in ogni luogo, soprattutto dove si gioca l’avvenire del pensiero. “Noi siamo quelli della speranza e della gioia. (…) La formazione cristiana non è una specie di predisposizione a crearsi una corazza per resistere a un contesto ostile, ma nasce per dare luce agli altri. Noi siamo gente che brucia per avere fatto l’esperienza del Signore, che è un fuoco che abita in noi. Lasciarsi abitare dall’amore di Dio ci rende capaci di amare. Questo è il miracolo”.
Queste parole fanno da trait d’union con il secondo incontro con il mondo giovanile della settimana, il momento di preghiera e riflessione riservato alla categoria particolarmente delicata dei fidanzati che si tiene nella basilica di S. Ambrogio il 10 marzo. L’arcivescovo ribadisce infatti il concetto, usando una metafora culinaria. “Il sale (…) è necessario per l’esistenza di ogni uomo e per la relazione; sale come elemento generoso che si scioglie in un altro alimento” per dargli sapore. Il sale è Cristo, ma lo sono anche i coniugati cattolici che testimoniano la bellezza del matrimonio cristiano in un mondo in cui diminuisce drammaticamente il tasso di nuzialità e di natalità.
Coloro che si sposano in chiesa non lo fanno più per convenzione sociale, ma tante volte le nozze segnano un “riflusso nel privato” da parte di chi in gioventù ha speso molte ore nel volontariato parrocchiale. L’invito dell’arcivescovo è allora “trovare, o ritrovare, un equilibrio tra la partecipazione alla vita ecclesiale e quella di coppia” in maniera tale che si riversino nella comunità tutti i doni che il Signore fa a quella “Chiesa domestica” che è la famiglia, la quale è pure la prima “agenzia educativa” che i figli incontrano.
Spesso infatti “non si mette a tema il dialogo su questioni fondamentali, come l’educazione dei figli, i rapporti interni ed esterni agli sposi. (…) una coppia che ha tempo solo per se stessa viene meno anche al suo ruolo di appartenenza alla più ampia comunità ecclesiale e civile”. I bambini sono proprio coloro che proiettano la coppia verso l’esterno, impedendole di impantanarsi nelle sabbie mobili dell’egocentrismo.