Il 31 maggio si è conclusa a New Orleans, in Louisiana, la Republican Leadership Conference 2014, uno dei maggiori eventi politici, per quanto riguarda il Partito Repubblicano, di quest’anno. È una sorta di Convention con cui il Partito tasta il polso del proprio elettorato, prova “sul campo” la risposta popolare a determinate strategie politiche e sonda il gradimento dei suoi frontmen.
Come tutte le kermesse politico-mediatiche di questo tipo, anche la Republican Leadership Conference si conclude con un voto attraverso cui il pubblico designa l’esponente Repubblicano che al momento gode del maggior seguito (straw poll). Tenendo presente l’alta concentrazione di personale politico apertamente conservatore presente almeno dal 2010 nelle fila del Partito Repubblicano, a forte discapito delle ali più “centriste” o persino liberal, ciò significa ‒ e lo sanno benissimo sia lo stesso Partito Repubblicano, sia i media ‒ che il voto del pubblico Repubblicano di New Orleans designa di fatto, per quanto informalmente, l’esponente conservatore attualmente più gradito all’“ala destra” degli elettori di quel partito ‒ che tende però a esserne l’ala politicamente e culturalmente determinante, se non addirittura numericamente maggioritaria ‒, anche se quegli elettori non esauriscono il mondo del conservatorismo, e persino, rebus sic stantibus, l’ipotetico candidato preferito per le elezioni presidenziali venture, nel caso di specie quelle del 2016.
Ebbene, a New Orleans il Repubblicano più votato è stato il senatore del Texas Ted Cruz, che ha raccolto il 30, 33% dei consensi; secondo si è piazzato Benjamin “Ben” Carson, ex neurochirurgo e oggi opinionista dell’emittente televisiva conservatrice FoxNews con il 29,38% dei suffragi; entrambi hanno quindi staccato di parecchio il terzo classificato, il senatore del Kentucky Rand Paul, che ha totalizzato solamente il 10,43%. In questo momento, cioè, Cruz e Carson sono gli esponenti politici conservatori più graditi all’ala maggiormente conservatrice dell’elettorato Repubblicano, che è anche come dire quelli preferiti dalla parte politicamente e culturalmente più determinante, forse anche numericamente più ampia, di quella parte dei conservatori che si riconoscono nel Partito Repubblicano (cioè nei suoi esponenti conservatori, nella convinzioni che essi siano in grado di dare il tono e magari anche di modificare permanentemente l’assetto di un partito di suo non automaticamente identificabile con il conservatorismo culturale e politico).
Ora, Cruz, è un latino, di origine cubana, e Carson è nero. Tutti quei commentatori di parte che da sempre definiscono “razzisti” i conservatori (definire “razzista” il Partito Repubblicano sarebbe quanto mai ridicolo) solo perché i conservatori si oppongono da sempre a quell’ideologia multiculturalista che da decenni serve solamente per imbellettare le scelte ideologiche più sfrenate, e che ha rincarato pesantemente la dose dal 2008, ovvero da quando il presidente Barack Obama siede alla Casa Bianca, maliziosamente bollando così ogni critica politica e culturale alle scelte iperprogressiste del “primo presidente americano nero”, avranno qualche difficoltà in più a proseguire lungo questa linea propagandistica.
Anche perché il gradimento di cui sono oggetto oggi Cruz e Carson non è banale, se è vero com’è vero che Cruz si è aggiudicato il favore del pubblico anche al Value Voter Summit di ottobre, una convention conservatrice dove viene messa specificamente a tema la difesa dei “princìpi non negoziabili”, piazzandosi secondo alla Conservative Political Action Conference di marzo, dove il peso dei libertarian è maggiore, dietro Rand Paul.
Da tempo, infatti, il Partito Repubblicano sta cercando il modo di raggiungere efficacemente le cosiddette “minoranze” etniche statunitensi, in particolare i neri e gl’ispanici, che oramai da tempo sono appannaggio, se non ostaggio, del “voto di scambio” praticato dal Partito Democratico. Infatti, benché le sue politiche, dall’aborto all’assistenzialismo, finiscano sempre per danneggiare i cittadini statunitensi meno fortunati, e fra questi in primis evidentemente le “minoranze” povere, il Partito Democratico riesce da tempo a guadagnarsi il favore di quell’elettorato grazie a sperimentate tecniche populiste e demagogiche che non solo negli Stati Uniti premiano proverbialmente le Sinistre.
Questo “voto di scambio”, fatto anche di sussidi e di welfare aggressivo, ottiene poi risultati ancora maggiori quando sul fronte opposto, i Repubblicani, si lasciano paralizzare appunto da quella retorica malevola che li definisce il “partito dei bianchi” o il “partito dei ricchi”, anzi entrambi e contemporaneamente. L’“era Obama”, poi, contando su un vantaggio d’immagine da questo punto di vista inequivocabile quanto imbattibile, ha acuito ancora di più ‒ se non altro propagandisticamente ‒ il divario etnico tra i due elettorati, riuscendo in alcuni casi a legare in maniera profonda e duratura al Partito Democratico intere fasce del voto delle “minoranze”. Se insomma i Repubblicani non riescono a interrompere rapidamente questo circolo vizioso, rischiano di giocarsi per lungo tempo settori strategici dell’elettorato.
Cruz e Carson entrano dunque in gioco qui; non perché siano lo “zio Tom” utile a confondere l’elettorato, ma perché sono la dimostrazione lampante di una verità culturale e politica che la propaganda ideologica è riuscita ‒ efficacemente, bisogna riconoscerlo ‒ a silenziare.
E cioè non solo che i conservatori non sono “razzisti”, ma che, anche nella loro “diversità”, le “minoranze” vengono meglio tutelate dai conservatori che non dai progressisti. Meglio ancora: i conservatori difendono i “princìpi non negoziabili” e le libertà autentiche della persona per tutti, bianchi e non. Che oggi siano però un latino e un nero a dirlo in un modo più convincente anche per i bianchi è un segno dei tempi che non va sottovalutato.
Marco Respinti