Carissimi,
1. Dopo l’ultimo capitolo nazionale, tenuto a Modena il 14 aprile 2012 e aperto da una mia riflessione cupa originata dalla semplice permanenza di qualche ora alla Stazione Ferroviaria di Milano, vi ho fatto pervenire la solita Agenda e Promemoria con aggiunta una pagina di uno scrittore italiano, Andrea Monda, tratta dall’ultimo capitolo del libro su Benedetto XVI che l’autore ha pubblicato in questi giorni [Andrea Monda, Benedetta umiltà. Le virtù semplici di Joseph Ratzinger, Lindau, Torino 2012, pp. 192, euro 14,00] e che Sandro Magister ha postato poco dopo il nostro capitolo. Si tratta di una pagina che risponde in chiave psicologica al quadro sociologico che ci circonda, cioè decrive l’animus del contrasto alla IV Rivoluzione, della quale vi apprestate a trattare — fra l’altro — in ricordo di Enzo Peserico.
Segnalo che Andrea Monda è laureato alla Pontificia Università Gregoriana; insegna religione nei licei di Roma; scrive su vari quotidiani e periodici; è autore di volumi dedicati a Tolkien e a C. S. Lewis. Nel tracciare il profilo del Papa, Monda mette decisamente al centro della scena due sue virtù, l’umiltà e «il suo frutto più gustoso», l’umorismo: «Sono due parole che trovano in humus, terra, una comune radice etimologica. Chi è terra terra, chi non si insuperbisce, è a un tempo umile e dotato di umorismo, perché avverte che esiste un mondo più grande del proprio io e, oltre questo mondo, Qualcuno di ancora più grande. Umiltà e umorismo son il segreto della vita, soprattutto per un cattolico, e sono due tratti che caratterizzano al massimo grado l’uomo Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, non meno della sua opera».
«La gioia profonda del cuore
è anche il vero presupposto dello humour;
e così lo humour,
sotto un certo aspetto,
è un indice,
un barometro della fede». (Benedetto XVI)
«Non ho fatto un esame accurato, ma sono pronto a scommettere che se si analizzassero le ricorrenze verbali all’interno dei testi di Benedetto XVI, la parola più presente sarebbe “gioia”.
«Partiamo da una delle tantissime sue affermazioni sull’importanza, per il cristiano, della gioia e proviamo ad applicarla a questo papa che si presentò appena eletto come “umile lavoratore nella vigna del Signore”. È una frase tratta dal libro-intervista Luce del mondo e, posta quasi in apertura, suona categorica:
«Tutta la mia vita è sempre stata attraversata da un filo conduttore, questo: il cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti. In definitiva un’esistenza vissuta sempre e soltanto contro sarebbe insopportabile».
«Primo punto: gioia e ragione sono collegati. E il collegamento si trova in questa strana religione che “allarga gli orizzonti”. Scriveva Gilbert K. Chesterton parlando della sua conversione: “Diventare cattolici allarga la mente” e, più avanti: “Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
«Secondo punto, a sorpresa: ci eravamo forse abituati all’idea di un papa rivoluzionario, di un papa contro, ed ecco che arriva subito la smentita, perché non si può vivere “sempre e soltanto contro”.
«Ovviamente la contrapposizione è solo apparente. Nella stessa frase, più avanti, infatti il papa precisa: “Ma allo stesso tempo ho sempre avuto presente, anche se in misura diversa, che il Vangelo si trova in opposizione a costellazioni potenti. […] Sopportare attacchi e opporre resistenza quindi fa parte del gioco; è una resistenza, però tesa a mettere in luce ciò che vi è di positivo”.
«Resistenza, dunque, che vuol dire abbandono di ogni rassegnazione, lamento o risentimento, e cammino di ricerca paziente e tenace di “ciò che vi è di positivo”, di quella bontà che è nascosta nelle pieghe della storia degli uomini. È questo il coraggio di Benedetto, il coraggio della gioia:
“La gioia semplice, genuina, è divenuta più rara. La gioia è oggi in certo qual modo sempre più carica di ipoteche morali e ideologiche. […] Il mondo non diventa migliore se privato della gioia, il mondo ha bisogno di persone che scoprono il bene, che sono capaci di provare gioia per esso e che in questo modo ricevono anche lo stimolo e il coraggio di fare il bene. […] Abbiamo bisogno di quella fiducia originaria che, ultimamente, solo la fede può dare. Che, alla fine, il mondo è buono, che Dio c’è ed è buono. Da qui deriva anche il coraggio della gioia, che diventa a sua volta impegno perché anche gli altri possano gioire e ricevere il lieto annuncio”.
«Umiltà vuol dire coraggio, il coraggio della gioia.
Gioia e umiltà progrediscono o regrediscono di pari passo. Lo aveva ben colto Chesterton nel suo breve ma denso saggio del 1901 sull’umiltà:
“Secondo la nuova filosofia dell’autostima e dell’autoaffermazione, l’umiltà è un vizio. […] Essa accompagna ogni grande gioia della vita con la precisione di un orologio. Nessuno per esempio è mai stato innamorato senza abbandonarsi a una vera e propria orgia di umiltà. […] Se oggi l’umiltà è stata screditata come virtù, non sarà del tutto superfluo osservare che questo discredito coincide con il grande regresso della gioia nella letteratura e nella filosofia contemporanee. […] Quando siamo genuinamente felici pensiamo di non meritare la felicità. Ma quando pretendiamo un’emancipazione divina, sembriamo avere la certezza assoluta di non meritare nulla”.
«Gioia e umiltà, quindi. Le due stanno o cadono insieme. Manca un piccolo tassello intermedio che però è molto presente nell’uomo e nel papa bavarese: l’umorismo. «Gioia e umorismo sono per Benedetto XVI strettamente collegati. Scrive a conclusione del suo saggio di teologia dogmatica Il Dio di Gesù Cristo:
“Una delle regole fondamentali per il discernimento degli spiriti potrebbe essere dunque la seguente: dove manca la gioia, dove l’umorismo muore, qui non c’è nemmeno lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù Cristo. E viceversa: la gioia è un segno della grazia. Chi è profondamente sereno, chi ha sofferto senza per questo perdere la gioia, costui non è lontano dal Dio del Vangelo, dallo Spirito di Dio, che è lo Spirito della gioia eterna”.
«Diceva Jacques Maritain che una società che perde il senso dell’umorismo si prepara il suo funerale.
«Umorismo come via per la gioia; il sense of humour come modo divertente (nel senso più sano del termine) di vivere la vita, partendo dal punto fondamentale: l’essenza del cristianesimo è la gioia. Per dirla con Chesterton, maestro di umorismo, «la gioia è il gigantesco segreto del cristiano». Scrive Benedetto XVI in Il sale della terra:
“La fede dà la gioia. Se Dio non è qui, il mondo è una desolazione, e tutto diventa noioso, ogni cosa è del tutto insufficiente. […] L’elemento costitutivo del cristianesimo è la gioia. Gioia non nel senso di un divertimento superficiale, il cui sfondo può anche essere la disperazione”.
“Se il mondo volta le spalle a Dio, ci dice il papa-teologo ex prefetto dell’ex Sant’Uffizio, non si condanna alla falsità, alla bestemmia e neanche all’eresia, ma alla noia. Viene in mente la battuta di Clive S. Lewis pronunciata quando ancora non si era convertito dall’ateismo al cristianesimo: “I cristiani hanno torto, ma tutti gli altri sono noiosi”.
Il testo di Monda ha suggerito all’amico comune Giovanni Formicola di ricordarmi — e gliene sono grato — un pensiero di Joseph Pieper: «[…] l’umiltà non definisce un comportamento esteriore, ma un atteggiamento interiore, dell’animo, nato da una decisione della volontà. Essa, fissa in Dio e compresa della sua condizione creaturale, è quell’attitudine di assoluto riconoscimento di ciò che è reale, grazie alla volontà divina. È la semplice accettazione di quest’unica verità: l’uomo e l’umanità non sono Dio, né come Dio. Ed è proprio a questo punto che affiora il nesso nascosto che congiunge l’umiltà, virtù cristiana, con il dono — forse altrettanto cristiano — dell’humour» [Nota: Theodor Haecker ha denominato (…) l’humour una quasi “naturale umiltà”. Ed anche le seguenti frasi di Fr. Vischer (…) sono degne di attenzione: “L’umorista riconosce se stesso un pazzo; si riconosce tale, e ciò non può avvenire se non quando egli, partendo dal vero spirito che lo permea, da simile contrapposto riconosce la parte inferiore e inconscia che ha in sé. Ma così facendo considera se stesso savio e pazzo simultaneamente; infatti il medesimo è colui che considera e colui che è in tal modo considerato, e precisamente in questo atto consiste… l’auto-liberazione”] (Joseph Pieper, Sulla temperanza, Morcelliana, Brescia 1965, pp. 89-90).
2. In occasione della esequie, sul verso di un’immagine di Enzo è stata diffusa una poesia di Charles Péguy (Orléans, 7 gennaio 1873 – Villeroy, 5 settembre 1914), uno scrittore, poeta e saggista francese.
«La morte non è niente, io sono solo andato nella stanza accanto.
Io sono io.
Voi siete voi.
Ciò che ero per voi lo sono sempre.
Parlatemi come mi avete sempre parlato.
Non usate un tono diverso.
Non abbiate l’aria solenne o triste.
Continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme.
Sorridete, pensate a me, pregate per me.
Che il mio nome sia pronunciato in casa come lo è sempre stato.
Senza alcuna enfasi, senza alcuna ombra di tristezza.
La vita ha il significato di sempre.
Il filo non è spezzato.
Perché dovrei essere fuori dai vostri pensieri?
Semplicemente perché sono fuori dalla vostra vita?
Io non sono lontano, sono solo dall’altro lato del cammino».
Non insisto sui molteplici richiami e chiudo, salutando tutti e augurandovi buon lavoro, con un aforisma di Nicolás Gómez Dávila, che in qualche modo parla, della lezione prima descritta:
«Dobbiamo vivere la militanza cristiana con il buon umore del guerrigliero, non con la cupezza di una guarnigione assediata».
Piacenza-Modena, 13 maggio 2012
memoria della Beata Vergine Maria di Fatima