Chi non ha mai sentito dire, o forse persino detto, che negli Stati Uniti, se non sfoderi prontamente la carta di credito, i medici non ti curano? Che la sanità è un privilegio dei ricchi, mentre i poveri, milioni di poveri, non possono curarsi nemmeno un raffreddore? Fatto sta, però, che di morti per le strade per incuria sanitaria negli Stati Unti non ce ne sono, mentre invece abbondando in mille altri luoghi del mondo: quelli affetti dalla miseria endemica indotta dal rifiuto della modernizzazione tecnologica (o dall’incapacità di affrontarla, ma una incapacità studiata, quasi volontaria, spesso ideologica), accompagnata alla repressione sistematica dell’ingegno e della laboriosità umane che i regimi dirigisti, statalisti e dispotici praticano conculcando le libertà del settore privato, dell’economia di mercato e della concorrenza.
Negli Stati Uniti, infatti, l’assistenza medica ai lavoratori c’è, eccome: garantita da compagnie private. Di norma, sono le aziende che negoziano con le compagnie private i servizi di assicurazione sanitaria per i propri impiegati, accollandone una parte dei costi ai lavoratori stessi mediante detrazioni sullo stipendio. Ma il lavoratore può anche acquistarli in proprio quei servizi assicurativi. Intanto lo Stato federale fornisce copertura sanitaria a determinate categorie di cittadini: quelli meno abbienti attraverso il programma Medicaid e quelli più anziani attraverso il programma Medicare. Entrambi amministrati e finanziati dallo Stato federale, i programmi Medicaid e Medicare si sostanziano comunque di contratti stipulati dallo Stato con compagnie private.
I cittadini americani possono del resto optare per un’alternativa: le HMO, “health maintenance organizations”, ovvero società che fanno da intermediarie fra l’assicurato e le strutture sanitarie, operando con personale medico convenzionato. Una legge federale del 1973 obbliga le aziende con più di 25 dipendenti a presentare loro anche l’opzione delle HMO certificate. Le HMO certificate forniscono inoltre l’assistenza sanitaria di emergenza a tutti, anche a chi non abbia preventivamente stipulato con esse un contratto.
Ora, la questione basilare e nodale di qualsiasi sistema previdenziale sanitario è che nessuna forma di copertura è a costo zero. Tutte debbono essere pagate. Se è lo Stato a garantirla monopolisticamente, i cittadini pagano l’assistenza sanitaria attraverso le tasse; se sono altri a fornirla in regime di concorrenza, i cittadini pagano fornitori privati diversi dallo Stato. I cittadini, insomma, la copertura sanitaria la pagano, sempre.
Per un certo numero di ragioni, negli Stati Uniti si ritiene – da sempre – che sia molto più efficace permettere ai cittadini di disporre liberamente dei frutti del proprio lavoro, amministrando così le risorse economiche sufficienti ad acquistare, per sé e per i propri cari di cui sia ha la responsabilità, un determinato servizio, che in questo modo è un bene perché ha un valore.
Curiosamente (ma forse nemmeno molto), in lingua inglese il termine good che significa “bene” al plurale goods significa “merce”. Cioè beni numerabili. E i beni sono numerabili quando possono essere molti, diversi, insomma plurali: cioè distinti dal bene in sé che è unico e indivisibile, il sommum bonum, in relazione al quale i goods sono beni secondi, valori non assoluti, quindi anche oggetti mercificabili.
Il valore dei beni secondi mercificabili è la misura della qualità – intrinseca o aggiunta – di una parte (numerabile) della realtà; una determinata parte (numerabile) della realtà è dunque una merce che si può scambiare, e per ciò stesso costituisce un bene/valore: sia per chi quella realtà/merce ce l’ha e la vende, sia per chi non ce l’ha e la compera, sia per chi decide invece di conservarla. Il valore/bene di questa realtà/merce varia o può variare in base a una pluralità di fattori. Ed è proprio il valore/bene che rende una realtà/merce scambiabile: stabilire che una parte della realtà materiale non è commerciabile equivale a dire che è priva di valore, e quindi che non è un bene. I valori, cioè i goods (le merci che sono dei beni), si quotano e si scambiano in piazza, davanti a tutti, con trasparenza, cercando di attirare i possibili acquirenti attraverso offerte vantaggiose (per tutti). La piazza dove i valori/merce/beni si scambiano si chiama mercato: ognuno vi allestisce, piccola o grande, bella o brutta, abbondante o parca, la propria bancarella, e vi entra a commerciare forte di quello che è. Cioè con la sua personalità, con il suo stile e soprattutto con la sua morale. Lo scambio di valori sul mercato dipende tutto dai commercianti che vi agiscono e quindi dai sistemi morali in base ai quali essi agiscono; l’acquirente, del resto, che magari può pure essere a sua volta un altro commerciante, e che quindi al mercato si comporta anche lui in base a una certa morale, ha la libertà di giudicare le offerte delle diverse bancarelle e l’agire (morale) del venditore. La morale migliore, vince; ed è proprio difficile che la morale migliore ‒ mentre tutti guardano liberamente e sovranamente controllano ‒ sia quella fondata sulla truffa, sul furto, sul raggiro, sulla corruzione. Il fatto di operare sulla piazza aperta limita cioè molto la eventuale possibilità che un commerciante ha di operare il male a danno degli acquirenti, i quali possono del resto sempre emarginare il commerciante immorale rivolgendosi ad altre bancarelle. È quella che si chiama concorrenza, la quale porta dentro di sé l’idea forte del concorrere di molti singoli verso un traguardo comune.
Il mercato è dunque il luogo dove si svelano, si contrattano e si giocano i valori, che per definizione sono sempre commerciabili, e questo perché il valore intrinsecamente negoziabile di una merce (di un bene) lo si stabilisce in base a princìpi non negoziabili, ovvero a beni originari e ultimi, definitivi e assoluti, che non sono commerciabili: il sommum bonum, unico, non numerabile, non divisibile, non misurabile neanche in termine di valore poiché è esso la fonte dei valori e delle loro misurazioni.
Il bene originario e ultimo, definitivo e assoluto, di una persona è un principio non negoziabile; la tutela della sua salute è un valore che si misura in base al bene assoluto, e che quindi si acquisisce; per ottenere tale scopo il mercato offre soluzioni diverse; la libertà economica delle persone cerca di scegliere la migliore; se sbaglia, una persona cambia. Criticabile sin quando si vuole, negli Stati Uniti il sistema sanitario funziona così.
Su questioni di valore, come la salute delle persone, ma anche per esempio la scuola, l’americano ritiene cioè essere suo diritto costituzionale di cittadino poter decidere in autonomia, facendo pesare i princìpi invalicabili che regolano la sua morale anche sul modo in cui spende i soldi che ha guadagnato. Per questo il cittadino americano ritiene che poter scegliere liberamente fra offerte diverse sia un elemento fondamentale (fondante), soprattutto perché se una soluzione scelta dovesse rivelarsi errata egli può cambiare in piena responsabilità. Allo Stato, il cittadino americano chiede così al massimo una funzione di arbitraggio, convinto del fatto che tale funzione lo Stato la svolge al meglio quanto più nella vicenda non ha interessi economici.
Il problema vero si pone per i cittadini che non hanno la possibilità economica di acquistare per sé e per i propri cari le coperture sanitarie, cioè che non dispongono del denaro necessario a farlo poiché il lavoro che svolgono non è sufficiente o il lavoro che non svolgono lo impedisce. Centrale a tutto il discorso è dunque la libertà economica dei cittadini, massima parte della quale è legata alla questione lavoro. Preoccupazione prima dello Stato, allora, non deve essere quella di affannarsi a cercare di garantire a pioggia ai cittadini ogni tipo di servizio che qualcuno deve comunque sempre pagare (o il cittadino, se ne ha la possibilità, o qualcuno altro per lui, sempre se questi ne ha la possibilità), ma arbitrare in modo che il mercato del lavoro funzioni. E, ancora una volta, il mercato del lavoro non funziona mai per decreto, o se lo Stato lo occupa, o se lo tratta come l’ennesimo servizio sociale da erogare a spese di qualcuno dei contribuenti: ma se esiste la libertà dei cittadini-commercianti di scambiarsi valori/beni/merci.
Quello dei poveri è un problema grave che si pone sempre, e certamente non solo in un Paese, come gli Stati Uniti, dove la copertura sanitaria la garantisce un sistema basato sul settore privato. La sanità ha sempre un costo, e sempre il cittadino la deve pagare. Negli Stati Uniti può verificarsi l’increscioso caso in cui un cittadino, magari senza lavoro, non abbia di che pagarsi la sanità garantita da soggetti privati (di cui però si servono anche i servizi dello Stato per i cittadini meno abbienti o anziani); in un altro Paese può invece verificarsi l’increscioso caso in cui un cittadino, magari senza lavoro, non abbia di che pagare le tasse richieste dalla sanità di Stato. A risolvere la questione è dunque il lavoro, non lo Stato o il non-Stato: ma un Paese che affida la sanità al settore privato è un Paese che a monte tutela anche la libertà economica di cittadini, il senso di responsabilità morale che vi è connesso e la concorrenza che permette di tenere strettamente sempre uniti il principio di sussidiarietà e il principio di solidarietà. Solo se lo Stato non si prende tutto è infatti possibile fare carità.
Prossimamente occorrerà riflettere sulla riforma sanitaria fortemente voluta dal presidente Barack Obama, cosiddetta “Obamacare”, che è un modo del tutto particolare di entrare in questo dibattito, e un modo affatto indolore.
Marco Respinti