Negli Stati Unti d’America, il conservatorismo in senso strettamente politico nasce esattamente mezzo secolo fa con il senatore dell’Arizona Barry M. Goldwater (1909-1998). E con lui nasce anche quel lungo, talora lento, ma sempre costante spostamento a destra del baricentro del Partito Repubblicano, che non lo trasforma certo, nemmeno oggi, in una formazione politica tout court conservatrice, ma che certamente, da partito progressista che esso era, ne fa l’ambiente e lo strumento capace di permettere, pur tra mille contraddizioni e passi falsi, incisività politica ai conservatori.
Il «disastro glorioso»
Ovviamente, la cultura conservatrice predata Goldwater, ma è stato Goldwater il primo uomo politico a intuirne le potenzialità anche elettorali e quindi a legarsi a essa. E non, come consuetamente accade, piegando a sé una cultura sino a snaturarla per mere ragioni elettoralistiche, ma ponendosi egli stesso al servizio attivo di una cultura.
Goldwater portò dunque quel conservatorismo che esisteva prima di lui e che era più grande di lui dentro il Partito Repubblicano e nella politica attiva degli Stati Uniti, e l’una cosa perché l’altra. Come i maestri del pensiero che sul piano culturale lo precedevano di almeno un ventennio, Goldwater ridiede insomma dignità politica all’espressione “conservatorismo” a lungo svilita e vilipesa, proprio come quei maestri avevano saputo ridarle dignità culturale.
Incontrò mille difficoltà soprattutto dentro il Partito Repubblicano di allora, ma non desistette. Perse clamorosamente, soprattutto per fuoco “amico”, le elezioni per la Casa Bianca del 1964, ma il suo fu ‒ com’è stato sagacemente scritto dall’ambasciatore J. William Middendorf II, e scritto per partecipazione, nel bel volume A Glorious Disaster: Barry Goldwater’s Presidential Campaign and the Origins of the Conservative Movement (Basic Books, New York 2006) ‒ un «disastro glorioso». Fu infatti proprio sulle ceneri di quella sconfitta che il conservatorismo politico statunitense prese a organizzarsi in vero e proprio “movimento”, fiancheggiatore di un Partito Repubblicano in trasformazione, ma pur sempre saldamente a debita distanza onde non farsene condizionare nel momento stesso in cui cercava però di condizionarlo.
Da quella stagione sono passati decenni, e nel corso di essi il Partito Repubblicano ha continuato a trasformarsi. Proprio a partire dalla disfatta goldwateriana – non va mai dimenticato, come purtroppo invece avviene spesso –, fu il gran lavoro svolto “nel segreto” da Richard M. Nixon (1913-1994) prima di giungere alla Casa Bianca a costruire i futuri successi; era, quello, un Nixon che non mostrava particolari inclinazioni conservatrici, ma che, con intuizione felice, si mise “a disposizione” di un disegno più grande di lui, e di cui forse non percepiva per intero i confini, servendolo fedelmente per portare costantemente acqua, come fa un ottimo aiutante di campo, a un mulino, costruito da altri strateghi e difeso da altri generali. In particolare, fu quel Nixon a traghettare nel Partito Repubblicano, inesorabilmente ormai segnato dal goldwaterismo, gli Stati di quel Sud conservatore degli Stati Uniti che fino ad allora erano restati comunque fedeli a un Partito Democratico oramai irriconoscibile ma pur sempre inscindibilmente legato alla loro memoria storica.
Fu quindi infine l’onda lunga dell’effetto Goldwater, il primo a costituire un “polo delle libertà e del buongoverno” negli Stati Uniti, a portare il conservatorismo dentro la Casa Bianca con l’elezione di Ronald Reagan (1911-2004) nel 1980. Reagan aveva infatti iniziato la propria carriera politica al vertice del Paese proprio nel 1964, all’indomani della sconfitta di Goldwater, volendo raccoglierne pubblicamente il testimone.
La coscienza dei conservatori
Ebbene, di Goldwater molti ricordano il libro The Conscience of a Conservative del 1960, pubblicato in traduzione italiana nel 1962 come Il vero Conservatore (Le Edizioni del Borghese, Milano), preludio alla sua corsa per la Casa Bianca di qualche anno dopo.
Questo vero e proprio manifesto politico-culturale del “conservatorismo in azione” fu in realtà redatto dall’allora ghost-writer di Goldwater, vale a dire L. Brent Bozell (1926-1997). Questi, futuro direttore del periodico “tradizionalista” Triumph, fondato nel 1966, era un intellettuale e un attivista cattolico di primo piano, noto per i sit-in di protesta davanti alle cliniche abortiste (che spesso terminavano con lo sgombero forzato da parte della polizia), famoso perché girava con il rosario al collo e perché amava indossare la boina roja dei carlisti spagnoli. Era stato tra i primi mai smentiti difensori del senatore anticomunista Joseph McCarthy (1908-1957), e lo aveva fatto assieme al cognato, William F. Buckley (1925-2008), il fondatore del periodico National Review, la “casa comune” giornalistica dei conservatori tutt’ora in onorato servizio.
La storia era andata più o meno così. Il pool di consiglieri di cui Goldwater si fidava, alquanto ristretto, contava alcuni pensatori di enorme rilievo dentro il mondo conservatore, ma culturalmente diversi quanto lo erano le varie anime del conservatorismo. Vi erano “libertari” irriducibili accanto a “tradizionalisti”, credenti e persino qualche ateo. Goldwater li volle tutti attorno a sé, perché quello, e non altro, era di fatto il mondo conservatore. La sua “magia” fu quella di sapere trovare una sintesi politica possibile in cui comunque quel mondo eterogeno poteva riconoscersi. Ci riuscì, per la prima volta unì quei “fratelli divisi” e il suo colpo da maestro fu lo scegliere, fra i tanti possibili, proprio un cattolico come Bozell per redigere un manifesto comunque condiviso da tutti.
Goldwater fece allora proprio, firmò e indossò il manifesto di Bozell e ne dedusse un programma politico capace di raccogliere le diverse anime della Destra statunitense attorno a un sensus communis. Secondo lo storico del conservatorismo George H. Nash (anzi, il maestro degli storici conservatori del conservatorismo statunitense), quel volume reitera le idee basilari della filosofia elaborata dallo storico delle idee Russell Kirk (1918-1994), filosofia con la quale il testo è infatti congruente anche in merito all’interpretazione dell’esperienza storica della nazione nordamericana. Il riferimento più diretto di Nash è un “manuale” ispirato dai servicemen impegnati nella Guerra di Corea (1950-1953) e per un po’ adottato come libro di testo dall’Accademia dell’Aeronautica Militare statunitense. Kirk lo pubblicò nel 1957 con il titolo The American Cause (il sottoscritto lo ha tradotto in italiano, a puntate, sulle pagine dell’oggi defunto settimanale di cultura il Domenicale nel 2003).
In esso Kirk afferma, e Bozell-Goldwater ripete poco più tardi, che gli americani autentici hanno mostrato sin dall’inizio di possedere una forma mentis conservatrice basata su princìpi da sempre riveriti, osservati e difesi, una forma mentis che, istituzionalmente, ha permesso di costruire una res publica ordinata e stabile. «In campo morale essi hanno osservato i precetti religiosi greco-giudeo-cristiani e innegabilmente formano una “nazione cristiana”»: così sintetizza Nash, secondo il quale «l’etica cristiana è il cemento della vita americana». Politicamente sono invece la tradizione giuridica, la dottrina politica e la pratica britanniche; l’erudizione classica e il cauto realismo dei Padri fondatori; nonché la libertà disciplinata, tradizionale, moderata e rispettosa del diritto a costituire il proprium degli Stati Uniti d’America, che non sono una democrazia pura basata sulla falsa idea dell’“uomo immacolato”. Piuttosto ‒ riassume sempre Nash ‒ «“i poteri limitati e decentrati”, il sistema di pesi e contrappesi, la democrazia territoriale, i diritti dei singoli Stati e i partiti non ideologici hanno costituito l’essenza del nostro sistema politico», mentre in economia si è sempre riverita quella libertà d’intrapresa che è immensamente più giusta e ordinata di qualsiasi schema collettivistico e dirigistico. Con questo programma, fondato in Kirk e in altri, Goldwater è sceso nell’arena politica per unire le diverse anime della Destra contro un nemico progressista in quel frangente ben più pericoloso delle pur importantissime distinzioni interne al conservatorismo.
Fuori moda
Un passo assai significativo di The Conscience of a Conservative dà la misura della dignità e della rilevanza dell’impegno politico di Goldwater, dietro la cui figura si staglia un mondo culturale ancora più profondo e sapido.
«Le antiche e provate verità che guidarono la nostra Repubblica durante i suoi primi giorni basteranno ottimamente anche per noi. […] Mi risulta che l’America è, fondamentalmente, una nazione conservatrice. Il giudizio preponderante del popolo americano, specialmente della gioventù, è che l’esperimento radicale, o liberale, non ha funzionato e non funziona. Il desiderio di un ritorno ai princìpi conservatori è largamente diffuso. […] Siamo quotidianamente consegnati, da commentatori “illuminati”, all’oblio politico: il Conservatorismo, ci dicono, è antiquato. L’accusa è assurda, e dovremmo dirlo con audacia. Le leggi di Dio e della natura, non portano data. I princìpi sui quali si fonda la posizione politica conservatrice sono stati stabiliti da un processo che non ha nulla da fare col paesaggio sociale, economico e politico, il quale muta di decennio in decennio e da un secolo all’altro. Questi princìpi sono derivati dalla natura dell’uomo, e dalla verità che Iddio ha rivelato intorno alla Sua creazione. Le circostanze, sì, mutano; e così anche i problemi che sono plasmati dalle circostanze. Ma i princìpi che governano la soluzione dei problemi non possono cambiare. Insinuare che la filosofia conservatrice sia antiquata sarebbe come dire che i Dieci Comandamenti o la Politica d’Aristotele sono antiquati. Il metodo conservatore di affrontare i problemi consiste semplicemente nel tentativo di applicare la saggezza, l’esperienza e le verità rivelate del passato ai problemi d’oggi. Non si tratta di trovare nuove o diverse verità, ma di imparare come le verità stabilite possano applicarsi ai problemi del mondo contemporaneo».
Quando cioè oggi, ancora oggi, i Repubblicani di orientamento conservatore (oramai la stragrande maggioranza del partito) fanno “a gara” per vedere chi è “più reaganiano” dell’altro in realtà si “sfidano” a chi è “più goldwateriano” di tutti. E, nonostante quel che traspare dalle misere cronache giornalistiche delle loro vicende politiche, dietro tutto ciò vi sono le parole scolpite come su roccia da Bozell più di mezzo secolo fa. Vi sono le «leggi di Dio e della natura», la «natura dell’uomo» e la «verità che Iddio ha rivelato intorno alla Sua creazione», i «Dieci Comandamenti» e la «Politica d’Aristotele».
Marco Respinti