Gli storici statunitensi del conservatorismo americano fissano la nascita remota di quello che sarà il “movimento” nella prima metà degli anni 1950 legandolo alla pubblicazione di una manciata di libri capaci di rompere definitivamente e clamorosamente il conformismo progressista allora imperante, libri legati ai nomi di Russell Kirk (1918-1994), Robert A. Nisbet (1913-1996), Friedrich A. von Hayek (1899-1992), William F. Buckley Jr. (1925-2008), Frank S. Meyer (1909-1972) e Whittaker Chambers (1901-1961).
Quest’ultimo, Chambers, era una firma eccellente del prestigioso periodico Time. Un giorno denunciò Alger Hiss (1904-1996), l’altissimo funzionario del Dipartimento di Stato che dal 4 e all’11 febbraio 1945, fu consigliere del presidente statunitense, Democratico, Franklin D. Roosevelt (1882-1945) alla Conferenza di Jalta, in Crimea, allorché il “mondo libero” e l’Unione Sovietica decisero come spartirsi il globo nel dopoguerra. Quel giorno Chambers denunciò Hiss come spia sovietica. Come faceva Chambers a sapere, anzi a essere arcisicuro che Hiss fosse una spia al soldo di Mosca? Chambers lo sapeva perché, comunista sin dal 1925, era stato pure lui agente dell’URSS dal 1935 al 1938. Poi aveva fortunatamente cambiato radicalmente vita, grazie alla riscoperta della fede quacchera che aveva in precedenza abbandonato, e aveva così deciso di raccontare la verità per intero. Ora, l’ingiustamente vilipeso senatore Repubblicano Joseph R. McCarthy (1908-1957) lo andava dicendo da un po’ che le alte sfere del potere politico statunitense pullulavano di spie, Chambers forniva le prove provate e le testimonianze documentate, ma molti ridevano (e ancora lo fanno).
Quando Chambers vuotò il sacco, sì innescò il “caso del secolo”. Il giornalista di Time chiese dunque di deporre davanti all’House Un-American Activities Committee (HUAAC), che all’inizio caldissimo della Guerra Fredda indagava sulle infiltrazioni comuniste negli USA, e il 1° agosto 1948 fu convocato. Davanti alle accuse, Hiss negò tutto, persino di avere mai conosciuto l’ex collega Chambers e lo querelò. Ma Chambers sostenne di possedere ancora alcuni dei documenti rubati passatigli da Hiss. Dove? Nascosti in una zucca nella sua fattoria di Westminster, nel Maryland. Dalla sua parte Chambers aveva un giovane membro dell’HUAAC, il deputato californiano Richard M. Nixon (1913-1994), all’inizio di una carriera importante. I documenti nella zucca di Chambers furono ricuperati, ma Hiss se la cavò con la sola accusa di spergiuro: il reato di spionaggio gli era stato infatti derubricato. Dopo due processi, fu condannato nel 1950. Nel frattempo, però, per Chambers le cose erano messe male; praticamente tutti lo consideravano infatti un guastafeste che aveva deciso di rivangare vecchie storie dimenticate e denigrato nomi troppo potenti per mera hybris. L’editore Henry R. Luce (1898-1967) non lo volle più a Time e quella penna finissima che era Chambers finì prematuramente una carriera d’oro. Di più, passò per un “lunatico” estremista che vedeva complotti ovunque. Gli rimasero solo gli amici conservatori, che lo invitarono a scrivere per le loro testate e a testimoniare in pubblico la “buona battaglia” anticomunista.
Chambers finì i propri giorni ricordato solo dagli amici più intimi, certamente non ricco e angosciato dalla terribile minaccia comunista che a quel punto davvero non sapeva più come si sarebbe potuto sconfiggere, se nemmeno le ex spie che raccontavano intrighi e bugie potevano servire alla causa. In preda a questi pensieri torvi sul futuro, Chambers visse i propri ultimi giorni come i suoi li visse il “fondatore” del conservatorismo anglofono, Edmund Burke (1729-1797), rabbuiato da quella che pensava sarebbe stata la vittoria prossima e certa del giacobinismo, tanto da farsi seppellire nel proprio terreno di Beaconsfield ma in luogo ignoto per tema che i rivoluzionari francesi o i loro sodali in Inghilterra sarebbero presto venuti a profanarne i resti.
Ora, anche se non sempre è andata benissimo, sia con il giacobinismo sia con il comunismo è comunque andata per fortuna diversamente da come temevano i rattristati Burke e Chambers. Né Burke né Chambers hanno visto il fallimento storico e lo sbugiardamento teoretico di quelle due ideologie perverse. In particolare Chambers non fece in tempo a vedersi finalmente “vendicato” da quelle rivelazioni permesse dal crollo dell’URSS che hanno confermato perfettamente la colpevolezza di Hiss.
Nel ritiro del suo ranch del Maryland, Chambers non poteva immaginare sviluppi simili e si accontentò di tirare avanti accudendo il suo bestiame e mettendo per iscritto le proprie meditazioni sulle sorti dell’Occidente in un memoriale-testamento pubblicato nel 1952 nella forma di un mastodontico libro intitolato laconicamente Witness, “Testimone”. Witness è uno di questi testi madre a cui gli storici attribuiscono la riscossa del conservatorismo negli Stati Uniti. Negli USA è ancora oggi un best-seller, un titolo proverbiale. Ha formato migliaia di uomini, ha influenzato migliaia di animi, ha preparato migliaia di menti: fra queste, anche quella del presidente Ronald W. Reagan (1911-2004), che lo ha sempre avuto carissimo. Nel Rancho del Cielo, a Santa Barbara, sulla sierra californiana, l’ho vista là ancora sullo scaffale come egli l’aveva lasciata la copia personale di Witness che appartenne a Reagan, dopo avere visto la Bibbia che Reagan e la moglie Nancy tenevano sul comodino.
Ad anni di distanza Witness suona più vero che allora, e a tratti mette i brividi. Lo fa in specie la famosa premessa, che intitolò Letter to My Children, “Lettera ai miei figli”. È un piccolo grande manifesto, commovente ed eroico. Uno dei passi più noti recita:
Pochi uomini sono tanto ottusi da non rendersi conto che la crisi esiste e che in ogni momento essa minaccia le loro esistenze. È uso comune definirla una crisi sociale. Ma si tratta di fatto di una crisi totale: religiosa, morale, intellettuale, sociale, politica ed economica. È uso comune definirla una crisi del mondo occidentale. Ma di fatto interessa il mondo intero. Di per sé, il comunismo, che pretende di esser una soluzione della crisi, ne è un sintomo e un eccitante.
Sorprende l’affinità strettissima che questo passaggio di questo libro fondante il conservatorismo statunitense mostra con le pagine che definiscono il concetto di “Rivoluzione” all’inizio di quel “manuale di ascetica sociale” che è il volume Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (trad. it., a cura di Giovanni Cantoni, Sugarco, Milano 2009), pubblicato a partire dal 1959 dal pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), il massimo rappresentante della scuola cattolica contro-rivoluzionaria del secolo XX. Ma sorprende meno se si ascolta anche Frank S. Meyer, un altro di quei primi araldi del conservatorismo statunitense negli anni 1950, filosofo della libertà, ebreo non credente convertitosi al cattolicesimo sul letto di morte, quando dice:
Viviamo nel mezzo di una rivoluzione diretta a distruggere la civiltà occidentale. Per definizione, i conservatori sono i difensori di quella civiltà; e in un’epoca rivoluzionaria ciò significa che essi sono, e debbono essere, controrivoluzionari.
Marco Respinti