Le mogli che stanno tirando un sospiro di sollievo, all’idea che sia finito il campionato italiano di calcio e la Champions League, non esultino troppo presto: tra pochi giorni comincia il Mondiale e i loro mariti si adageranno nuovamente sul divano, sostenendo che Bosnia Herzegovina – Iran sia una partita imperdibile.
A parte gli scherzi, la stagione italiana si è conclusa con uno spettacolo poco edificante: la finale di Coppa Italia, giocata a Roma tra Napoli e Fiorentina, è stata teatro di gravi disordini fuori e dentro il campo. Protagonista, in negativo, Gennaro De Tommaso, soprannominato Genny ‘a Carogna. Lo abbiamo visto mediare con le forze dell’ordine, dare ordini alla tifoseria napoletana, arrampicato sulla recinzione con la maglietta nera con scritto “Speziale libero”. Quella maglietta, ben inquadrata dalle telecamere, ha suscitato indignazione: Speziale è il giovane tifoso del Catania condannato a 8 anni di carcere per l’omicidio dell’ispettore di polizia Filippo Raciti, il 2 febbraio del 2007 durante i disordini che scoppiarono allo stadio Massimino in occasione del derby col Palermo.
Dopo la partita di Roma scattano arresti, Daspo, e quanto la legge consente per colpire i responsabili, fiumi di parole scorrono nei talk show televisivi, sociologi e opinionisti dicono la loro. Ma resta l’amarezza per questo ennesimo grave episodio che ha turbato lo spettacolo sportivo.
Mi sembra che possa essere utile dare un contributo al dibattito, ricordando quanto la dittatura del relativismo sia responsabile di un certo clima, anche in questo frangente. Vi racconto un fatto accaduto proprio alcuni giorni dopo l’omicidio dell’ispettore Raciti, nel 2007.
Alcuni studenti del Liceo Spedalieri di Catania, riflettendo su quell’episodio che aveva visto coinvolti, direttamente e indirettamente, molti dei loro amici, scrivono una lettera-manifesto ai professori della loro scuola denunciando l’assenza di valori nella quale sentivano di vivere e la totale mancanza di punti di riferimento che li portava a sentirsi «soffocati dal nulla». E termina, quella lettera, con una richiesta drammatica: «Abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a trovare il senso del vivere e del morire, qualcuno che non censuri la nostra domanda di felicità e di verità».
Che bello leggere che questi ragazzi hanno una domanda di verità!
Ma arriva la doccia fredda: il 4 marzo 2007 viene pubblicata sul quotidiano “La Sicilia” la risposta del preside e di 28 docenti del Liceo Spedalieri; una risposta che suscita un certo scandalo perché, di fronte all’appello degli studenti, preside e docenti affermano che non è compito della scuola dare risposte, ma solo «suscitare domande» e riguardo al «senso della vita», che nella loro lettera quasi disperata gli studenti dichiaravano di aver perso o non aver mai trovato, invitano ciascuno a cercare da solo le «risposte adeguate al proprio percorso. (…) Proporvi, o imporvi, delle verità è integralismo, cioè barbarie, e pertanto questo atteggiamento non può avere luogo nella scuola pubblica, cioè democratica e laica. Vi rispettiamo troppo per sventolarvi Verità rivelate: abbiamo molto a cuore il vostro futuro di protagonisti della società globale e non vogliamo certo che diveniate i “soldatini di piombo” di una società assolutista e intollerante, consumistica e omologante».
Da questa lettera emerge tutta la gravità dell’emergenza educativa: non prendiamocela con i giovani, ma con l’assenza di educatori. Come stupirci della situazione attuale se di fronte all’accorato grido di aiuto dei ragazzi la risposta degli insegnanti è un disarmante richiamo al relativismo e all’assenza di una “grammatica comune”, per usare la felice espressione di Benedetto XVI?
Susanna Manzin