Il 4 luglio è la festa nazionale degli Stati Uniti d’America istituita per celebrare la Dichiarazione d’indipendenza dalla Gran Bretagna, proclamata a Filadelfia nel 1776.
Su quel documento molto si è detto e molto si è scritto, talora troppo si dice e troppo si scrive: sulla sua genesi, sui suoi autori, sul suo linguaggio, sui suoi destinatari. Praticamente è una “storia infinita” che inevitabilmente alimenterà sempre il dibattito politico-culturale e sempre ingrosserà gli scaffali delle biblioteche. Ma, al di là di ogni opinione, oltre ogni interpetazione legittima o spuria, persino di ogni suo utilizzo nell’agone politico, quel che resta, pesante come un macigno, è ciò che in quel documento è scritto. Soprattutto e anzitutto nel Preambolo:
Quando, nel corso delle vicende umane, diventa necessario per un popolo sciogliere i legami politici che lo hanno vincolato a un altro, e assumere il rango eguale e separato al quale le leggi della natura e il Dio della natura danno a esso diritto tra le potenze della Terra, il rispetto del giudizio del genere umano richiede che quel popolo dichiari le ragioni che lo costringono alla separazione.
Noi affermiamo che le seguenti verità sono di per sé stesse evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono stati dotati di alcuni diritti inalienabili dal loro Creatore, che tra questi diritti vi sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità, che per assicurare questi diritti sono istituite tra gli uomini forme di governo che traggono il proprio giusto potere dal consenso di coloro che sono governati, che ogniqualvolta una forma di governo diventa distruttiva di queste finalità è diritto del popolo modificarla o abolirla per istituire una nuova forma di governo che si fondi su quei princìpi e su quell’organizzazione dei suoi poteri che al popolo appaiono più efficaci quanto a sicurezza e felicità. Sarà in verità la prudenza a dettare che le forme di governo in vigore da molto tempo non siano cambiate per motivi futili e passeggeri; e proprio in base a ciò l’esperienza ha mostrato che il genere umano è più disposto a piegarsi soffrendo, fin dove è possibile soffrire, che non a rizzarsi abolendo le forme alle quali è abituato. Ma quando una lunga serie di abusi e di usurpazioni, che invariabilmente perseguono il medesimo scopo, rende palese il progetto di soggiogare il popolo al dispotismo assoluto, è diritto del popolo, è dovere del popolo, rovesciare tale governo e darsi nuove garanzie per la propria sicurezza futura.
La forma e la sostanza sono impeccabili.
- Nella storia accade che sia necessario modificare la forma di quanto è stato a lungo invariato allo scopo di continuare a godere nella sostanza dei medesimi benefici garantiti dalla forma precedente (per esempio, e nella fattispecie, una forma di governo); e questo perché qualcosa di anomalo è intervenuto nell’antica forma, rendendola non più capace di garantire la medesima sostanza.
- Nel caso concreto, si tratta della forma del legame politico che ha fino a ora (1776) unito, nell’architettura dell’impero britannico, la Gran Bretagna e le colonie britanniche nell’America Settentrionale. È cosa buona e giusta che si spieghino a tutti le ragioni che inducono a modificare quella forma.
- Per dare questa spiegazione si comincia dal principio. Il diritto naturale e il Dio creatore della natura (dunque anche autore di quello stesso diritto naturale) autorizzano le comunità politiche storiche, ovvero i popoli, a operare le modifiche di forma necessarie a garantirsi sempre la medesima sostanza buona.
- Si noti il senso della cogenza, richiamato subito in queste prime parole e poi continuamente presente, sottotraccia, nell’intero Preambolo: il mutamento della forma è una extrema ratio non più rimandabile per conservare la sostanza, pena altrimenti mali ancora maggiori.
- Si noti anche che, nel testo inglese, il vocabolo “popolo” è people, il quale in inglese significa però anche “persona” e, appunto, “insieme di persone”; quando people significa “popolo” è vocabolo singolare; quando invece significa “insieme di persone” in inglese viene declinato al plurale pur mantenendo forma singolare. L’attenzione, cioè, è puntata sui soggetti componenti quell’insieme, considerati uno per uno nella loro unicità inalienabile. La prima volta in cui compare nel testo della Dichiarazione d’indipendenza, people è certamente inteso come “popolo”, nome collettivo: tant’è che viene declinato al singolare; ma in tutti i casi successivi in cui, direttamente o indirettamente, si fa riferimento a tale vocabolo, people viene declinato al plurale con il palese intento d’indicare sì il popolo ma questo specificamente come “insieme di persone” una per una considerate. Non è solo un artifizio retorico: è così perché la prima volta in cui nel testo people viene declinato al plurale è quando si afferma che a un certo popolo (in questo caso i coloni britannici dell’America Settentrionale nell’atto di diventare statunitensi) il diritto naturale e il Dio della natura danno diritti paritetici a quelli degli altri popoli (qui quelli che interessano solo i sudditi dell’impero britannico), e questo perché, essendo un “insieme di persone”, quel popolo (gli statunitensi) è una comunità politica di persone soggette di diritti. Negli altri casi, che si reggono però su questo primo, il vocabolo people è declinato al plurale perché, venendo a parlare specificamente di diritti della persona, il soggetto in questione sono gli esseri umani che uno per uno compongono storicamente un popolo con la loro unicità inalienabile. Non massa, ma persone. In italiano è impossibile rendere questo “rimpattino” tra i diversi significati del vocabolo people poiché bisognerebbe usare in un caso (il primo) “popolo” e negli altri “persone” vanificando però così subito proprio quel sapido “gioco di parole”.
- I popoli sono dunque “insiemi di persone” cui il diritto naturale e il Dio della natura danno determinati diritti: politici e storici quando le persone sono considerate nel loro stare insieme appunto in un popolo; personali e inalienabili quando le persone sono considerate come esseri umani unici e irripetibili.
- I diritti naturali delle persone sono dati da Dio e sono appunto conformi alla natura creata degli uomini. Per questo nessuno può sottrarli loro. Sono immutabili e non negoziabili.
- La prima e suprema caratteristica delle persone umane è l’essere dotate di questi diritti inalienabili da Dio loro Creatore. Chi conferisce diritti alle persone umane è Dio proprio perché Creatore degli uomini: il Creatore è anche l’autore del diritto naturale (Dio della natura) ma in questo secondo riferimento ne viene sottolineata proprio la funzione unica creatrice. Quella che nessuna filosofia ha mai potuto immaginare e che è dottrina rivelata peculiare al giudeo-cristianesimo.
- In questo documento politico americano, la Dichiarazione d’indipendenza, Dio è posto all’inizio degli eventi anche politici e ne è il metro di giudizio; ed è specificamente il Dio creatore: cioè il Dio creatore del giudeo-cristianesimo, non quello di qualche filosofia deista.
- I diritti storici delle persone considerate nel loro essere popolo si fondano sulla loro natura di uomini, da Dio creata l’una e creati gli altri; quindi i diritti storici e politici sono legittimi quando sono fondanti nel diritto naturale autorizzato da Dio. Nel corso della storia può rendesi necessario (come si rende necessario oggi, 4 luglio 1776, giorno in cui viene reso pubblico questo proclama, spiegandone a tutti i motivi seri) cambiare degli “accidenti” allo scopo di continuare a godere della sostanza profonda di certi diritti storici, sostanza profonda che non è mai solo di natura storica. I diritti della persona, invece, non possono mai subire modifiche.
- I diritti di cui il Creatore dota gli essere umani sono un certo numero, i più importanti dei quali vengono elencati espressamente nella Dichiarazione d’indipendenza poiché fondano e legittimano tutti gli altri. Sono la vita, la libertà e il perseguimento della felicità.
- Il primo diritto dell’uomo, dato all’uomo dal Creatore, è il diritto alla vita. Il diritto alla vita è il primo diritto dell’uomo, e questo lo riconosce anche politicamente e storicamente la Dichiarazione d’indipendenza facendo di esso il proprio primo assunto anche politico.
- Il secondo diritto dell’uomo, dato all’uomo dal Creatore, è la libertà; la libertà dell’uomo, bene massimo, si fonda però appunto sul diritto alla vita, bene supremo. La libertà si regge sulla vita che è la verità prima dell’uomo, e le due non possono mai essere disgiunte. La libertà è l’esercizio pratico, concreto e dunque storico, cioè anche politico, del diritto alla vita, della verità.
- Il terzo diritto dell’uomo, dato all’uomo dal Creatore, è il perseguimento della felicità, ma non certo un fantomatico “diritto alla felicità”. La Dichiarazione d’indipendenza stabilisce che, per le ragioni suddette di rapporto fondante tra Creatore e creatura, garante il diritto naturale, è diritto inalienabile dell’uomo essere lasciato libero di vivere nella storia con responsabilità, dotandosi di quegl’istituti e di quelle istituzioni che meglio facciano godere a lui, alla sua famiglia e ai suoi simili (people) il bene della felicità. È la rivendicazione inalienabile della dimensione pubblica, politica, della libertà, che nessun governo ha mai il diritto di conculcare. Non è la felicità a essere un diritto e non lo è nemmeno la sua ricerca, perché la felicità non la insegnano certo i documenti politici pur ben fatti: essa è insegnata invece prima dal messaggio biblico e dalla sua ricezione nella filosofia corrente, nel senso comune, persino nella mentalità (allora) dominante. Più tardi, negli Stati Uniti, tutto questo bagaglio che precede, e fonda, la politica si chiamerà “Costituzione non scritta”, legittimante quella scritta. Il diritto inalienabile è invece che l’uomo sia lasciato libero di darsi i modi e le forme di costruzione storica che gli consentano di godere della Buona Novella della Bibbia, sia come singoli sia come popolo (people).
- Proprio per questo gli uomini istituiscono forme di governo, varie, sempre storiche, sempre bisognose di cambiamenti. Quando queste forme di governo si rendono però insufficienti, o controproducenti, o inservibili, o dannose, vanno certamente cambiate. Vanno assolutamente cambiate quando da garanti del bene diventano cioè agenti del male si singoli e popoli (people). Non farlo reca, per i motivi predetti, offesa a Dio Creatore elargitore agli uomini dei diritti di vita, libertà e perseguimento della felicità.
- Questo è ciò che succede oggi, 1776, alle colonie britanniche dell’America Settentrionale, fino a ora felici nell’architettura imperiale britannica, ma da adesso costrette (questo è il verbo usato) a distaccarsene onde continuare, con altre forme, a godere degli stessi benefici una volta ma ora non più garantiti. Gli statunitensi lasciano l’architettura imperiale britannica perché in essa qualcosa è intervenuto ad alterare il bene in male. Non è una rivoluzione, ma il suo esatto contrario. Abusi, usurpazioni e spettro del dispotismo assoluto sono il male che la Dichiarazione d’indipendenza vuole combattere per difendere sempre (il «corso delle vicende umane») i «diritti inalienabili» dati agli uomini «dal loro Creatore».
- Regola tutto la prudenza, la prima delle virtù politiche: del resto gli uomini cambiano sempre e solo obtorto collo le forme che hanno procurato loro benefici sostanziali; e sono persino disposti a patire anche molto pur di conservare le cose buone pur sempre meno buone; ma quando, come ora, 4 luglio 1776, si rende necessario, seppur dolorosamente, cambiare, il cambio va operato, per conservare. È questo un diritto dell’uomo, ed anche un suo dovere: è l’esercizio della sua libertà di origine divina ed è l’esercizio della responsabilità che all’uomo deriva dall’essere soggetto storico libero a immagine di Dio.
- Il cambiamento mira solo a dotarsi di ulteriori e migliori garanzie per salvaguardare la natura inalienabile dell’uomo e i principi non negoziabili su cui essa si fonda, dotandosi di forme organizzative politiche atte a trattenere, a tenere distante il male. Il Katéchon.
Segue, nella Dichiarazione d’indipendenza, l’elencazione volutamente pedissequa dei medesimi diritti storici e politici di cui gode ogni suddito dell’impero britannico ma che per il male intervenuto vengono ora negati dalla Corona agli ex coloni britannici dell’America Settentrionale. L’indipendenza è la rivendicazione e la conseguente rimessa in moto di quegli antichi diritti storici e politici denegati, legittimati dall’identità inalienabile con cui Dio Creatore ha fatto gli uomini. Sono “solo” libertà storiche e politiche, ma è da quelle che passa il rispetto autentico e profondo della dignità divina dell’uomo. Per questo ogni sforzo in loro favore è legittimo.
Diceva Ronald Reagan (1911-2004), quando ancora era governatore della California: «Il sogno americano è che ogni uomo debba essere libero di diventare ciò che Dio intende egli debba diventare». Il dovere, cioè, di essere come Dio mi vorrebbe, che è imperativo per me uomo che non ho in me le ragioni del mio essere e che è condizionale per Dio che è la ragione di Sé e di me, giacché Egli ama profondamente anche l’uomo che Lo rinnega. La migliore ermeneutica, quella reaganiana, di questo straordinario documento che è la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America.
Marco Respinti