Il genere letterario della narrativa ha indubbiamente un ruolo di primo piano all’interno della “battaglia culturale” in favore del vero, del buono e del bello. Questo vale ancora di più in un contesto, come quello della cosiddetta modernità connotata dal pensiero debole relativista, in cui è sempre più difficile affrontare tematiche di oggettiva complessità con i soli strumenti del ragionamento e dell’argomentazione filosofica o scientifica, tipici della conferenza così come della monografia tematica specializzata.
La narrativa però (romanzo o racconto che sia) deve fare i conti con le difficoltà che le sono proprie: è difficile scrivere un buon testo, è difficile trovare un editore, è difficile farsi trovare dai potenziali lettori.
Non possiamo quindi che salutare con soddisfazione e soprattutto augurare le migliori fortune all’opera prima di Susanna Manzin, Il Destino del Fuco (D’Ettoris Editori, Crotone 2014), che ha superato brillantemente le prime due difficoltà (è scritto bene ed ha trovato un editore) ed affronta adesso la terza prova: trovare lettori, farsi leggere, far parlare di sé.
Un aiuto sul piano pubblicitario, paradossalmente, potrebbe arrivare dalla cronaca di queste settimane: mentre il romanzo usciva dalla tipografia, la Corte Costituzionale bocciava la legge 40 nella parte in cui tale legge nega alle coppie sterili la possibilità di ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale eterologa (cioè con donatore estraneo alla coppia).
Il romanzo, infatti, pone al centro della narrazione proprio il tema della fecondazione artificiale eterologa e immagina alcune possibili conseguenze. Benché la vicenda sia frutto della fantasia dell’autrice, non è difficile rendersi conto che lo sviluppo della vicenda ricalca con assoluto realismo e credibilità quanto accade nel mondo reale ed offre pertanto alcuni spunti di riflessione di grande importanza e di stringente attualità.
Il Destino del Fuco affronta il tema immaginando un intreccio di relazioni familiari complesse ed ha come scenario principale l’agriturismo di Marianna, sposata con Riccardo e madre di due bambini.
In questo contesto di quiete e di ottima ospitalità familiare, impreziosito da golose digressioni sulla buona tavola, si ritrovano due coppie di ospiti, una madre single con una figlia e un padre divorziato con il figlio, e si scopre che entrambi i ragazzi sono nati attraverso il ricorso alla fecondazione eterologa, da donatore anonimo.
Tutti i personaggi del racconto si trovano ad affrontare, seppure da differenti punti di vista, uno scenario imprevedibile e complesso, di fronte al quale manifestano insicurezza, impreparazione, angoscia. Emerge la domanda sul senso della vita, sulla esigenza di recuperare le proprie radici, di sapere veramente chi siamo e da dove veniamo, sul ruolo della famiglie ed in particolare su quello che è stato definito il “grande assente” in questa oscura crisi antropologica del XXI secolo, cioè il “padre”.
Ecco perché il titolo del romanzo fa riferimento al fuco, il maschio dell’ape, utile solo a fecondare l’ape regina e poi destinato a uscire di scena.
Come si diceva all’inizio, ci sono molti modi per parlare di fecondazione artificiale, di paternità, di famiglia. Non mancano eccellenti trattati di psicologia e di sociologia, vi sono ottimi testi giuridici, morali o dottrinali, anche di taglio divulgativo.
Il grande pregio del breve romanzo di Susanna Manzin è quello di riuscire a offrire spunti di riflessione di inconsueta profondità attraverso un semplice racconto il quale, intrecciandosi con la cronaca dei nostri giorni, può davvero risultare strumento più efficace per sollecitare una adeguata attenzione a queste tematiche.
Proprio su questi argomenti, infatti, si sta sviluppando gran parte dello scontro culturale, sociale e filosofico che vede contrapposti il relativismo assoluto ed il richiamo ad una concezione “alta” della vita, fondata su una dimensione etica ed oggettiva propria della natura umana e che deve essere tutelata in ogni modo, anche con un romanzo.
Andrea Arnaldi