Lo scorso 22 Febbraio a Milano si è tenuto, nell’ambito della serie d’incontri dal titolo “Rottura o continuità?”
dedicati al Concilio Vaticano II, quello relativo alla questione della libertà religiosa nella Dignitatis Humanae e nel Magistero successivo, presieduto da Massimo Introvigne, sociologo delle religioni e fondatore del CESNUR (Centro studi sulle nuove religioni).
Il tema affrontato è tutt’altro che semplice. Infatti, il documento conciliare Dignitatis Humanae, senza dubbio uno dei più rilevanti, che afferma il diritto umano alla libertà religiosa, ha dato luogo a diverse interpretazioni, tra cui si annoverano quelle del mondo anticonciliarista…
– composto soprattutto dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata dal vescovo scismatico Mons. Marcel Lefebvre – fondate su un’apparente discontinuità tra il Magistero pre e post-conciliare, in particolar modo sulle condanne della libertà religiosa provenienti dal beato Pontefice Pio IX e dal suo successore Leone XIII, che fanno uso esplicito del termine intendendolo in senso negativo. Il problema, lo afferma lo stesso Introvigne, è reale: “non è ozioso, ma nemmeno insolubile”.
Per dar luogo ad una giusta interpretazione, il sociologo si rifà spesso ai numerosi scritti e discorsi di Benedetto XVI o del precedente Card. Ratzinger. È stato proprio il pontefice, il 22 dicembre 2005, in un discorso alla Curia Romana, per opporsi alle ermeneutiche della rottura, progressista da una parte e tradizionalista dall’altra, ad inaugurare l'”Ermeneutica della continuità”. O meglio, della “riforma nella continuità”, perché è inutile negare che con il Concilio ci siano stati grandi cambiamenti.
Innanzitutto è la parola diritto ad avere due diversi significati: quello inteso nel senso del diritto positivo, come facoltà di agire, oppure quello realmente inteso dalla Dignitatis Humanae, ovvero diritto in senso anglosassone, cioè immunità, facoltà morale negativa, diritto a non subire alcuna coercizione da parte dello stato. In questo senso la libertà religiosa è un diritto naturale e fondamentale dell’uomo, che deve ricercare la strada della Verità senza essere ostacolato dallo stato moderno. Introvigne ricorre più volte all’esempio dell’arbitro in una partita di calcio, a simboleggiare lo stato: sono le religioni a doversi giocare la partita, lo stato deve solo supervisionare senza interferire. Il senso anglosassone della parola “diritto” è dovuto alla forte influenza che ebbe la Chiesa statunitense durante la stesura del documento, fra cui il teologo John Courtney Murray: oltreoceano il problema dei rapporti fra Stato e Chiesa è sempre stato tra i principali temi giuridici, poiché gli Stati Uniti fin dalla loro fondazione garantiscono alla persona la protezione della libertà religiosa. Sempre l’allora Card. Ratzinger, in una lunga lettera di risposta a Mons. Lefebvre, che gli aveva posto le sue obiezioni a riguardo definendo la libertà religiosa come un principio errato, distingue tra libertà religiosa nel contesto filosofico, che è errata poiché esprime il diritto a diffondere l’errore, e nel contesto giuridico, cioè come un’esigenza umana di avere una formazione religiosa senza alcuna ingerenza.
Questo riguarda particolarmente lo stato moderno, per sua natura irreligioso, e perciò si è preferito il termine “libertà” a “tolleranza” religiosa. In ogni caso, nessuno stato cattolico del passato ha mai costretto alla pratica religiosa e, nei casi in cui si sono verificati tentativi di conversione forzata da parte di principi cristiani, la Chiesa ha sempre condannato queste pratiche. Infine Benedetto XVI specifica chiaramente: la libertà religiosa deve essere fondata sul dato di fatto che esiste un solo Salvatore, Gesù Cristo, e non sulla presunta e falsa uguaglianza tra culture e religioni dei popoli. Se non è opposta al relativismo, essa ne diviene, per usare le parole del pontefice, “la sua canonizzazione”: la libertà religiosa intesa in questo senso è meritevole tutt’oggi delle condanne di Leone XIII e Pio IX. Il grande lavoro di questo Papa ha permesso di superare l’apparente discontinuità e contraddizione che si era creata fra il magistero pre e post-conciliare, tuttavia rimane il problema della comunicazione, poiché nonostante l’impegno del Papa molti teologi nonché i fedeli ne rimangono all’oscuro. “Questa”, conclude Introvigne, “sarà una delle principali sfide che il futuro pontefice dovrà affrontare”.