E’ uscito nelle sale cinematografiche italiane un film del regista italiano Renzo Martinelli. Il titolo è già una provocazione: 11 settembre 1683. La battaglia di Vienna in realtà porta ufficialmente la data del 12 settembre (proprio per celebrare quella vittoria il Pontefice Innocenzo XI ha istituito la festa del Nome di Maria), ma già dalla sera precedente le truppe al comando del Re di Polonia Sobiesky marciavano in aiuto della popolazione viennese, stremata da mesi di assedio.
Uno dei tanti momenti di scontro tra la Cristianità e l’Impero Ottomano? Sicuramente quello decisivo per la riscossa europea: gli islamici sconfitti a Vienna saranno poi inseguiti dall’esercito della Lega Santa per oltre 15 anni, saranno liberate anche Budapest e Belgrado, fino alla battaglia di Zenta, ancora una volta (guarda un po’) un 11 settembre, del 1697. A capo delle truppe c’era il nostro Eugenio di Savoia, che aveva avuto il battesimo del fuoco nella battaglia di Vienna.
La Sublime Porta, dopo questa serie di umilianti sconfitte, si piegherà a trattare la pace a Carlowitz, nel 1699. Erano state liberate Austria, Ungheria, Transilvania, Slovenia, Croazia, Dalmazia, parte della Serbia e Valacchia. Bisogna riconoscere a Renzo Martinelli il merito di avere reso un coraggioso contributo alla memoria storica. Il film si prende qualche libertà nella narrazione, ma è complessivamente fedele ai fatti. La realizzazione è italo-polacca: la figura di Sobiesky ha determinato infatti il forte legame dei polacchi con la vicenda. Nel film il vero protagonista è però il beato Marco d’Aviano, missionario cappuccino. La sua figura è resa molto bene: uomo di fede, umile, ma al tempo stesso deciso e risoluto. Sa leggere gli eventi, comprende la gravità della situazione e si impegna con tutto il suo carisma per gestire i difficili equilibri tra i litigiosi sovrani europei. Giovanni Paolo II diceva: “Lo conosco fin dai banchi di scuola”. In visita a Pordenone il 30 aprile ’92 disse: «In questa vostra terra ha avuto i natali il Servo di Dio Padre Marco da Aviano, conosciuto anche nella mia Patria per il contributo spirituale offerto all’unità delle forze politiche e militari, dalle quali fu scongiurato, nel 1683, attorno a Vienna, il gravissimo pericolo che incombeva su tutto l’Occidente cristiano.».
E’ decisamente un personaggio scomodo, Marco d’Aviano, ignorato da chi si dichiara pacifista “senza se e senza ma”, oppure citato solo per ricordare la sua fama di predicatore e taumaturgo, evitando di parlare del suo ruolo sui campi di battaglia. Strano destino il suo: a tre secoli dalla morte, nel gennaio 1991, la Congregazione per le cause dei santi attesta finalmente l’eroicità delle virtù quando siamo nel pieno della crisi per la prima guerra del Golfo. Dopo 12 anni padre Marco viene beatificato, il 27 aprile 2003, durante la seconda guerra del Golfo, quando l’opinione pubblica e il mondo cattolico sono impegnati nel dibattito sulla guerra e sulla pace in occasione della seconda crisi irakena. Il beato Giovanni Paolo II mette in guardia contro i pericoli derivanti dall’apertura di un nuovo fronte di guerra, auspicando che il lavoro delle diplomazie possa scongiurare il conflitto, e nelle stesso tempo beatifica un frate cappuccino che incoraggia i sovrani europei a prendere le armi per difendere la Cristianità minacciata dagli Ottomani. Per capire che non esiste contraddizione bisognerebbe prendere in mano il Catechismo della Chiesa Cattolica, e leggere quel n° 2309 dove si ricorda la dottrina della guerra giusta. Ma evidentemente molti cristiani hanno preferito dimenticare la figura di Marco d’Aviano.
Eppure, parlare del beato solo per il suo ruolo sui campi di battaglia sarebbe semplicistico. La grande opera di padre Marco è stata in realtà quella di portare pace e concordia tra i principi europei, risvegliando in essi la coscienza di un’Europa cristiana. Il film di Martinelli mette bene in evidenza quali fossero i problemi da affrontare: il vecchio continente è diviso a causa della riforma protestante, scivola verso l’assolutismo, il nazionalismo, il laicismo; Luigi XIV vuole abbattere l’Impero degli Asburgo, ultimo simbolo della Cristianità europea, e per farlo non esita ad allearsi con gli Ottomani.
Nel settembre 1683 i principi europei litigano fra di loro, ignorando le grida di dolore che provengono dagli assediati, ma Padre Marco riesce a convincere tutti i partecipanti a mettere da parte i propri interessi personali, per assicurare il bene della Cristianità. Questo aspetto è stato messo giustamente in rilevo dal film. Se padre Marco si impegna nella guerra, lo fa per la legittima difesa dell’Europa minacciata ed aggredita. Grande è stato il suo impegno per l’identità religiosa europea. Nel 1691 scrisse all’imperatore: «Ho sempre temuto che la politica e l’interesse voglia dare un tracollo alla Cristianità, e il peggio è che in queste pessime disposizioni i cristiani dormono … Dio sa quanto abbia faticato con tutti i miei sforzi per svegliare dal letargo i sonnolenti. Cominciando da Roma e seguitando per tutta la Cristianità si sentono scandali tali, che fanno arricciare li capelli, e chiaramente si vede che Dio ci vuole castigare.»
Come si arriccerebbero i capelli a padre Marco, se vedesse l’Europa di oggi! Questa buona battaglia per un’Europa cristiana è stata ricordata anche da Giovanni Paolo II alla cerimonia di beatificazione di padre Marco d’Aviano: «Fu spinto dalle circostanze ad impegnarsi attivamente per difendere la libertà e l’unità dell’Europa cristiana. Al continente europeo, che si apre in questi anni a nuove prospettive di cooperazione, il beato Marco d’Aviano ricorda che la sua unità sarà più salda se basata sulle comune radici cristiane».
Il beato appare oggi come una figura di sorprendente attualità per la Chiesa del nostro tempo e per l’Occidente. Ai cristiani di oggi, a coloro che stanno costruendo la “casa comune europea” egli si presenta come uno straordinario modello di contemplativo in azione, di difensore della fede cattolica. Con la sua instancabile predicazione è un modello per la Nuova Evangelizzazione, perché allora come oggi i nemici più pericolosi non sono quelli esterni, ma quelli che abitano dentro l’Europa: e si chiamano materialismo, laicismo e relativismo.