Proprio nei tempi più difficili la sete di bellezza si fa più ardente, alla ricerca di una via d’uscita da questo “gulag mentale” in cui ci siamo rinchiusi, condannati al dominio dell’utile e del funzionale, incapaci di alzare lo sguardo verso un cielo che noi stessi abbiamo chiuso. Roger Scruton dice infatti che “la bellezza è il volto dell’amore che risplende nella desolazione”. Il Pontificio Consiglio per la Cultura propone agli uomini del nostro tempo la via pulchritudinis, la via della bellezza, come percorso privilegiato per tornare a casa – o almeno per affacciarci fuori dal gulag e intravedere che il mondo esterno esiste e che abbiamo ancora una casa in cui ritornare – e ci indica tre sentieri attraverso i quali percorrerla:
1- La bellezza della Creazione: è l’ambiente creato da Dio, uno specchio in cui Egli si riflette direttamente. Infatti, un paesaggio bucolico, la montagna, ecc. in generale la natura riesce ad elevare persino l’anima di chi non ammette l’esistenza dell’anima! Una scampagnata per definizione si fa in campagna, magari in riva al lago, ma assolutamente non in un garage o in una periferia. Perché? È talmente auto evidente che possiamo anche chiudere il discorso qui…
2- La bellezza dell’arte e, in genere, di quanto è prodotto (“sub-creato”, direbbe J.R.R. Tolkien) dall’uomo, che ad imitazione del suo Creatore ricerca la scintilla dell’eterno anche nelle proprie opere. Pensiamo alle cattedrali, alle grandi opere d’arte, ma pensiamo anche alla vita quotidiana. Sempre Scruton descrive lo spettacolo di una madre che apparecchia la tavola per la famiglia, con una bella tovaglia candida, dei fiori freschi, delle attenzioni tipicamente familiari che non troveremo in nessuna mensa universitaria… è il modo, dice Scruton, di dare il benvenuto a coloro che amiamo. È quell’istinto della bellezza che ha fatto realizzare nel Medioevo non solo splendide chiese e maestosi palazzi di Comuni e di re, ma un’intera società anche esteriormente caratterizzata da ordine e decoro. Lo storico belga Léo Moulin osserva che oggi noi consideriamo capolavori anche gli edifici più umili e funzionali delle abbazie e dei monasteri: il chiostro, il lavabo, la cucina, le cantine! (incomparabilmente più belli di alcune cattedrali moderne). Mettendo al primo posto l’opus Dei, cioè il culto divino, e donando bellezza a Dio, hanno di riflesso cercato la bellezza anche per l’uomo, permettendogli di essere più uomo.
3- La bellezza della vita dei santi – a cominciare da Maria – e della liturgia in cui Cristo, “il più bello tra i figli degli uomini”, si manifesta nei misteri della Sua vita e della Sua gloria. La bellezza estetica delle cose e della creazione è un “sacramento” della bellezza eterna; tanto più lo è la bellezza di una vita buona, che è contemporaneamente una vita bella: “i vostri ‘atti buoni’ non vuole affatto dire “atti buoni” in senso filantropico e moralistico: tà kalà erga vuol dire ‘atti belli’, rivelazioni luminose e armoniose della personalità spirituale” (Pavel Florenskij). Anche sotto apparenze umili, dimesse, persino povere come quelle di Madre Teresa di Calcutta, nessuno mai parlerebbe di bruttezza. Al contrario, la bellezza della santità è tale in quanto manifestazione della verità e dell’amore, ed è anticipo dell’aureola celeste. Del resto essa imita – e incarna – la Bellezza eterna che si è lasciata sfigurare sulla croce prima di risorgere nella gloria.
A maggior ragione, in grado supremo, è sacramento la bellezza della liturgia: qui non siamo noi che ci affacciamo sull’infinito, ma è il paradiso stesso che scende sostanzialmente e realmente (nell’Eucaristia). Nel Tabernacolo c’è il Corpo e Sangue di Cristo, e di sicuro i suoi angeli non lo lasceranno lì da solo. Infatti, l’allora cardinale Joseph Ratzinger scriveva che nelle chiese cattoliche la liturgia è perennemente celebrata, anche al di fuori della messa. Se avessimo ancora capacità di stupirci, se i nostri sensi non fossero annebbiati, forse anche quando la chiesa è deserta, intorno al tabernacolo riusciremmo a sentire miriadi di voci angeliche che cantano incessantemente Sanctus Sanctus Sanctus…
“L’inferno è identificabile solo dal Paradiso” (Nicolás Gómez Dávila): dopo aver percorso i vari sentieri della via pulchritudinis siamo ora in grado di discernere con maggiore consapevolezza anche ciò che non va. Alla bellezza non solo individuale di questo o quel santo, ma alla “bellezza sociale” di un’intera civiltà cristiana, si oppone una via turpitudinis che è allo stesso tempo sintomo e simbolo di quell’altrettanto plurisecolare processo di aversio a Deo, di apostasia delle società, che la scuola contro-rivoluzionaria e in specie Plinio Corrêa De Oliveira definisce Rivoluzione. Le cattive istituzioni, come le cattive idee da cui scaturiscono, hanno la loro prima origine nelle tendenze disordinate del cuore dell’uomo. Per verificare quanto accade in ambito spirituale, per avere una radiografia dell’invisibile, il rapporto di una società con il bello – o con il brutto – è un’efficace cartina di tornasole. E forse non è casuale che il nostro mondo attualmente sia divenuto un coacervo di asfalto, graffiti e grigiore e che le metropolitane siano frequentate anche da aspiranti suicidi, stanchi di vivere in un mondo complessivamente non bello e quindi percepito come non amabile – poiché nessuno ama ciò che percepisce come brutto.
Seguire la via pulchritudinis ed educare noi stessi e il prossimo alla buona contemplazione – un paesaggio, un capolavoro, una bella liturgia (come gli emissari del principe di Kiev, che nel 988 dopo aver assistito alla divina liturgia a Costantinopoli non erano in grado di dire se erano stati in cielo o in terra) è dunque una via privilegiata per costruire una nuova civiltà cristiana. Le splendide città medievali che tuttora ammiriamo spesso si sottomettevano ad una sorta di patronato “politico” della Vergine Maria, ponendosi sotto la sua protezione (ad esempio, Siena era la civitas Virginis). E Lei stessa ha promesso, a Fatima, che “alla fine il Mio Cuore immacolato trionferà”. Se dunque non sappiamo concretamente come sarà la civiltà cristiana del terzo millennio, possiamo essere sicuri che sarà bellissima, proprio come Maria. “Tota pulchra es … et macula non est in te – Tutta bella tu sei … in te nessuna macchia” (Ct 4,7).