È sempre più frequente trovare la parola “genere” nei documenti di regioni, provincie, comuni e anche sui quotidiani. Come mai questa parola viene utilizzata così spesso? Perché il termine “sesso” è stato pressoché ovunque sostituito con il termine “genere”? Hanno il medesimo significato questi due termini?
L’autrice – medico, membro della Catholic Medical Association -, che ha partecipato come attivista pro-life e pro-family alle conferenze ONU del Cairo (1994) e di Pechino (1995), svela come il termine “genere” (gender), insieme a molti altri termini, sia stato inserito nei documenti ufficiali dell’ONU a partire dagli anni ’90. Esso nasconde a tutti gli effetti un vero e proprio progetto politico da portare avanti con tutti i mezzi possibili: si tratta di “decostruire” l’identità sessuale svincolandola dal dato genetico e biologico – un essere umano non più “maschio”, non più “femmina” – per ricostruirla a piacimento, anche transitando da tutte le possibilità intermedie tra i due “estremi”; questa reinterpretazione della sessualità affonda le sue radici nel presupposto ideologico che “maschile” e “femminile” siano ruoli socialmente costruiti.
Ma perché? E come può avvenire questo cambiamento di mentalità? Come farlo penetrare nel pensiero globale e nel vissuto pratico?
La O’Leary ripercorre le tappe storico-culturali che hanno portato le ex-femministe sessantottine al potere in politica e alla guida dei principali organismi internazionali, ONU e agenzie collegate in primis. L’ONU, nell’era della globalizzazione, è divenuto infatti un formidabile strumento di diffusione di idee e di cultura a livello planetario; i documenti che escono dai suoi uffici e le Piattaforme d’Azione che vengono elaborate nel corso delle conferenze mondiali, sebbene non vincolanti, hanno una certa autorità morale e dovrebbero rappresentare il “consenso” mondiale.
Ebbene, la salita al potere delle attiviste femministe sessantottine ha determinato un cambiamento delle politiche globali volte al riconoscimento dell’uguaglianza e delle pari opportunità, che passa però da una interpretazione neo-marxista della storia del mondo e della società, perché, nel pensiero femminista, “per ottenere la liberazione delle donne, è necessario cambiare l’intera struttura sociale”.
Le donne devono poter arrivare ovunque, devono poter fare tutto ciò che più piace, devono poter accedere a qualsiasi posizione, e se questo significa cambiare i connotati alle strutture sociali non importa. Si tratta a tutti gli effetti di una nuova lotta di classe, questa volta per dominare i “processi riproduttivi”.
L’idea militante femminista è infatti la distruzione della famiglia, luogo di oppressione delle donne; la maternità vista come schiavitù, l’aborto e la contraccezione come mezzi necessari per raggiungere il fine, visto come liberazione dalla schiavitù e dominio sul proprio corpo e sulla sessualità, che deve essere liberata da qualsiasi vincolo.
L’uomo visto come un “padrone” contro il quale scatenare questa nuova guerra, e al quale togliere ogni mezzo di rivendicazione di potere: un uomo non più padre, non più marito, ma solo compagno, partner, da cambiare a piacimento a seconda delle occasioni e dei gusti del momento.
Sradicare la mentalità che vede in un binario sessuale predefinito le opportunità di accedere a posizioni di potere, di ruoli e competenze deve passare – in questa visione ideologica del mondo e della relazioni umane – da una ridefinizione del “genere”, per cui tutto deve essere smontato (anche l’identità sessuale) per poi essere ricostruito, perché tutto deve diventare possibile alle donne.
La O’Leary denuncia i meccanismi contorti che operano dietro le quinte all’ONU, il vero e proprio boicottaggio subito dalle organizzazioni pro-life e pro-family alle conferenze, e dà voce alle molte voci che si sono alzate in difesa del diritto alla vita e in difesa della dignità delle donne, ma che sono state deliberatamente escluse dalle relazioni stilate dalle commissioni preparatorie e nelle piattaforme finali.
Gli esiti dei lavori sono sotto gli occhi di tutti: la Conferenza del Cairo su Popolazione e Sviluppo del 1994 ha dato impulso alla promozione dell’aborto e della contraccezione su scala mondiale, spacciato per “salute riproduttiva”, mentre la Conferenza di Pechino sulle Donne dell’anno successivo è diventata la vera e propria agenda di “genere”: nel documento finale, la cosiddetta “Piattaforma d’Azione”, il termine “gender” viene citato più di 200 volte.
Ma davvero ci attende un nuovo mondo dove non c’è più posto per la natura umana?