Lo scorso 4 novembre, festa di San Carlo Borromeo, è stato inaugurato alla presenza dell’arcivescovo Angelo Scola il Nuovo Museo del Duomo, ospitato all’interno del Palazzo Reale, con il Tesoro e le sue collezioni, insieme al preziosissimo Archivio della Fabbrica, una sorta di “diario di Milano” vissuto nei secoli attraverso le testimonianze e le storie personali legate ai seicento anni dedicati alla costruzione della cattedrale (questi documenti saranno disponibili entro un paio d’anni in formato digitale per permetterne la consultazione anche da remoto).
La visita al Museo del Duomo è una grande occasione per tutti per riscoprire come l’innesto della civiltà cristiana nel tessuto della città abbia fecondato e dato vita a una bellezza non solo artistica, ma anche di storia e di tradizione. Il Museo include alcuni tra i pezzi più preziosi del Tesoro del Duomo, che fino a un mese fa si trovava nella cripta della cattedrale, costituito da arredi, paramenti sacri e oggetti liturgici e di culto risalenti a molto tempo prima della fondazione dell’attuale cattedrale, in uso presso le precedenti basiliche Santa Tecla e Santa Maria Maggiore.
Ho avuto il piacere di poter percorrere questo itinerario accompagnata dall’archeologo Lodovico Zana, grazie all’iniziativa del Centro Asteria (recentemente insignito dell’Ambrogino D’Oro).
La prima sala si apre su capolavori artistici appartenenti al Tesoro del Duomo: la croce di Ariberto, decorazione di ciò che resta del sepolcro di Ariberto di Intimiano, arcivescovo di Milano nel XI secolo, realizzata in rame dorato e sbalzato proviene dalla chiesa di S. Dionigi a Milano, distrutta nel 500 per costruire le mura spagnole. È un’opera importante che risale a prima della nascita del romanico. A differenza della maggior parte delle croci realizzate in quel periodo, con il Cristo trionfante con gli occhi aperti, Cristo qui è rappresentato con gli occhi chiusi, morto. Da notare, ai piedi della croce, la figura di Ariberto con l’aureola quadrata, che nell’iconografia medievale sta a significare che il personaggio raffigurato è ancora in vita, e dall’altro lato dei piedi di Cristo, la scritta “indegno arcivescovo” .
Del tesoro fanno parte anche altri capolavori quali la coperta dell’evangelario di Ariberto, risalente sempre all’XI secolo, realizzata in oro e placche di smalti preziosi, con l’Ascensione e Cristo che scende nel limbo, la situla (secchiello liturgico) del vescovo Gotofredo, del X secolo, in avorio e argento, opera con ascendenze bizantine, i due dittici, greco e latino, in avorio, risalenti al VI e IX secolo, insieme a una coperta di evangelario in avorio preziosissimo del VI secolo.
Unica nel suo genere, per fattura e delicatezza della composizione (non esiste al mondo opera paragonabile a questa), è invece la mitra donata a Papa Pio IV e da questi a sua volta al nipote San Carlo Borromeo, realizzata a mosaico con piume di colibrì , opera di artisti Aztechi.
Di grande valore, opera di fine ‘400 di Michelino da Besozzo, la tavola bifronte della Madonna dell’Idea, raffigurante su un lato la Madonna col Bambino e sull’altro la Presentazione di Maria, utilizzata per le processioni della Candelora che partivano dalla Chiesa di Santa Maria Beltrade (che oggi non esiste più, come tante altre chiese di Milano, demolita nel 1926).
Altri oggetti di particolare rilievo sono le due paci, dall’aspetto di tempietti rinascimentali e raffiguranti due pietà. Ma cos’è una “pace”? È un oggetto liturgico, simbolo di devozione, che oggi non si usa più, ma che un tempo veniva utilizzato moltissimo, quando c’era l’abitudine di comunicarsi solo a Pasqua (solo con il pontificato di San Pio X, infatti, ai fedeli fu consigliato di ricevere con la massima frequenza questo sacramento). Le processioni per ricevere la comunione durante le Sante Messe erano dunque abbastanza scarne. Per ovviare a questo inconveniente chi non poteva ricevere la comunione poteva comunque alzarsi per poter baciare una pace.
Notevolissima la quantità di opere in marmo di Candoglia, (guglie, pilastri, statue di diverse dimensioni, doccioni – ce ne sono più di 90 lungo tutto il perimetro del Duomo – , capitelli), tutte una diversa dall’altra, che evidenziano la grande ricchezza espressiva delle varie scuole, con artisti, scultori e artigiani provenienti da tutta Europa, in particolare dalla Germania, dalla Boemia, dalla Francia e dall’Ungheria, e anche da tutta Italia, che si sono incontrati a Milano, e hanno contribuito con il loro estro e la loro perizia a realizzare un’opera unica in Europa.
Due curiosità: quella di Milano è l’unica cattedrale al mondo proprietaria delle cave dalle quali viene estratto il marmo usato prima per la sua costruzione, e ora per la sua manutenzione; Gian Galeazzo Visconti (1347-1402), Signore di Milano, donò le cave alla Veneranda Fabbrica del Duomo per estrarvi il marmo da destinare alla costruzione della Cattedrale (proprio a Gian Galeazzo Visconti si deve l’avvio dei lavori per costruire il Duomo di Milano, a partire dal 1387).
Il marmo veniva così estratto dalle cave a Candoglia, sul lago Maggiore, e trasportato senza ulteriori costi e dazi su imbarcazioni lungo il Ticino e i Navigli, fino a via Laghetto, proprio dietro il Duomo. Le imbarcazioni che trasportavano i materiali (esenti da pedaggi) per la fabbrica erano contraddistinte dalla scritta ad usum fabricae ambrosianae da qui deriva l’espressione viaggiare a ufa (dalle iniziali della scritta), cioè gratis, per coloro che si gettavano sui barconi lungo il percorso per arrivare fino a Milano e che non pagavano il biglietto di viaggio.
Anche la parte dedicata alle vetrate, allestita in una sala circolare, è notevolissima, con il record da Guinness che spetta sempre al nostro Duomo: i finestroni dell’abside, con i loro oltre 30 metri d’altezza, sono i più alti al mondo. La loro realizzazione è stata affidata, tra gli altri, a maestri lombardi quali gli Arcimboldi.
Tutto il percorso di visita si snoda quindi in senso cronologico su 2000 mq di spazio espositivo, diviso in 27 sale e 13 aree tematiche. Il progetto, commissionato all’architetto Guido Canali, è molto scenografico, inteso a far sì che il visitatore “impatti” sulle opere d’arte.
Uscendo dopo tre ore di visita, tra tesori e opere d’arte immortali, colpiscono, e quasi feriscono, le locandine esposte per le mostre in corso nell’altra ala di Palazzo Reale, dedicate ad alcuni artisti contemporanei.
La maggior parte dell’arte contemporanea, figlia del suo tempo, balbetta qualcosa che resta, nella migliore delle ipotesi, un linguaggio incomprensibile, sganciata dall’elemento verticale, dallo sguardo verso l’infinito, che contraddistingue invece tutta l’arte religiosa e in particolare l’arte gotica.
L’arte perde così una delle sue importanti caratteristiche, quella di essere comunicazione, quella di essere simbolo compreso e condiviso in ogni epoca storica e artistica, in ogni ambito culturale e da ogni uomo, dove l’uomo ritrova la propria unità in sé e con gli altri nella contemplazione dell’opera d’arte.