Giunta alla sua diciottesima edizione, la giornata per il dialogo ebraico-cristiano (17 gennaio) è onorata nella Sala delle Colonne del nuovo Museo del Duomo di Milano da un incontro tra il card. Angelo Scola e Giuseppe Laras, presidente del Tribunale rabbinico del Centro-Nord Italia, con a tema il Settimo comandamento del Signore, “Non rubare”.
Il dialogo parte dalla legge naturale ed entrambi i relatori prendono il comandamento da angolature poco ovvie. Sebbene, infatti, la lettera del precetto divino sembra indurre ad un significato piuttosto scontato, in realtà dietro di essa si cela una pluralità di sfaccettature. Il rabbino stesso elenca alcune implicazioni che riguardano la stessa persona umana: pensa “al furto delle persone, al loro sequestro” ed all’inganno, latrocinio “del cuore e dell’intelligenza”. Laras ricorda anche l’applicazione sociale del comandamento, nel senso di fare giustizia a coloro che vengono privati del necessario. “Non sottrarti al dovere di dare del tuo al povero. Non dare ai poveri è un furto. Chi non li aiuta è un ladro. (…) Perché chi vede accadere tutto questo e sta zitto è ladro anche lui”.
L’arcivescovo di Milano si riallaccia proprio alle implicazioni sociali per spiegare l’interpretazione cattolica del Settimo comandamento. “Nella tradizione cristiana non rubare non è comprensibile se non come espressione del bene comune. Ciò implica il primato della destinazione universale dei beni”. Il cattolico tinge l’antico precetto del Sinai, dettato nel corso di quello che S. Paolo chiamava “il ministero della condanna” (II Corinzi 3,9), con i colori caldi del comandamento dell’amore fraterno, enunciato da Cristo nell’Ultima Cena prima di realizzarlo Egli stesso morendo sulla croce. Con la Pasqua fu estinta la frizione tra l’uomo e Dio, aperta dal peccato originale. Il peccato divide, distrugge: urge una riparazione, che nel caso del Settimo comandamento è la restituzione di quanto sottratto. “La consapevolezza di questo dovere, ma soprattutto la sua effettiva pratica, sia a livello personale che a livello di istituzioni sociali, economiche, politiche e di interscambio tra nazioni, è necessaria per la costruzione di un “nuovo ordine mondiale”. Solo la restituzione consente di riparare alla ferita inferta al diritto ed alla giustizia, lesi nel furto. L’obbligo della restituzione, inoltre, esprime il nesso tra peccato e reato in vista del riscatto del soggetto”.
Quella che il card. Scola descrive è sostanzialmente la dinamica della Confessione. Confessi i tuoi peccati, ricevi il perdono di Dio, ma ti viene data una penitenza, che nel suo senso pieno vuol dire riparare al proprio peccato nei confronti sia dell’Eterno che del fratello. La società contemporanea, invece, non vuole più sentir parlare di peccato, ma demonizza chi sbaglia volendolo distruggere assieme al male compiuto.
Dio Padre indicò il Decalogo come via alla vera libertà, perché non c’è nulla di più schiavo dell’uomo immerso nel peccato. Per questo il card. Scola ritiene molto utili un dialogo ed una collaborazione che partano dai Comandamenti: “Come cristiani e come ebrei possiamo fare molto insieme per testimoniare l’esortazione alla santità contenuta nelle Dieci Parole, santità che riguarda sia la dimensione personale che quella pubblica”. Le Tavole del Sinai corrispondono, infatti, a quella legge naturale la cui violazione comporta seri problemi anche al non credente.