Care amiche, cari amici
ristampato quest’anno, il testo di Emilio Gentile, L’apocalisse della modernità. La Grande Guerra per l’uomo nuovo (Oscar Mondadori 2014, 1 ed. 2008), costituisce un’ottima occasione per coloro che volessero prendere spunto dal centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale per riflettere sulle devastanti conseguenze provocate da questo evento all’interno dei popoli europei.
Il libro passa in rassegna le opinioni di moltissimi intellettuali e artisti dell’epoca precedente il 1914, la cosiddetta Belle époque, che quasi unanimemente auspicavano un sommovimento generale che permettesse la nascita di una nuova epoca, finalmente liberata dal materialismo e dall’edonismo borghese, che ogni nazione attribuiva all’altra, al nemico. Così la Francia odiava la Germania, sperando in una rivincita della sconfitta del 1870, e quest’ultima odiava la prima accusandola di frivolezza e contrapponendo il rigorismo luterano al giacobinismo ugualitario del 1789.
Era il nazionalismo l’ideologia allora dominante, uscito dalla Rivoluzione francese e penetrato in tutti i Paesi europei attraverso le armate di Napoleone, un amore per la propria patria che non aveva nulla a che fare con l’amore per la terra dei padri (che riuscì a convivere dentro gli imperi, la cui concezione politica era l’esatto contrario dell’ideologia nazionalista).
Emilio Gentile, allievo di Renzo De Felice e con lui il maggiore storico italiano del fascismo, ricostruisce con grande profondità il clima culturale e artistico dell’epoca. Pur non avendo le categorie interpretative della storia riconducibili alla scuola contro-rivoluzionaria, lo storico italiano aiuta a comprendere come l’evento bellico costituì certamente il suicidio di un’epoca “gaudente” che sembrava intramontabile, ma anche favorì effettivamente la nascita di quell’ “uomo nuovo” che molti intellettuali auspicavano, un uomo trasformato e deformato dalla drammaticità della guerra che avrebbe contribuito a dare vita alle nuove ideologie di massa (fascismo, nazionalsocialismo e comunismo) che avrebbero portato i popoli europei, e con essi il mondo, dentro la nuova tragedia della Seconda guerra mondiale, questa volta non più da dieci milioni ma da cinquanta milioni di morti.
Il grande assente di questo bel libro è papa Benedetto XV che, con il suo giudizio radicalmente negativo della Grande guerra, (“l’inutile strage”), rappresenta il vero vincitore morale del conflitto che favorì in modo determinante la Rivoluzione comunista in Russia e la scomparsa degli Imperi, fra cui quello austriaco che rappresentava la continuità con il Sacro Romano Impero e una reale alternativa alla logica violenta dei nazionalismi. Il suo Magistero venne di fatto “oscurato” anche dagli episcopati nazionali, che si lasciarono coinvolgere nei rispettivi nazionalismi, e da molti intellettuali cattolici che presero parte al conflitto, come Gentile non manca di fare notare. Così, il neutralismo della Santa Sede non riuscì a incidere più di tanto prima e durante il conflitto e la stessa Santa Sede verrà esclusa, durante i trattati per ristabilire la pace, da ogni possibilità di influire nel dopoguerra.
Della posizione italiana, che entrò in guerra nel 1915 capovolgendo la precedente Triplice alleanza con Austria e Germania, per decidere di muovere loro guerra nell’arco di dieci mesi, avremo modo di parlare più avanti. Certamente sarebbe auspicabile che chi dovrà presiedere le prossime celebrazioni ufficiali sia così prudente dall’astenersi da ogni riferimento apologetico a un gesto, quello di entrare in guerra capovolgendo le precedenti alleanze, che non fa certo onore al nostro Paese e sul quale è impossibile immaginare di costruire una qualsivoglia identità nazionale.
Emilio Gentile fa notare come si sia passati dalla modernità trionfante nei decenni precedenti il conflitto al suicidio di questo stesso mondo, che si spense per sempre nelle trincee d’Europa e nei dieci milioni di morti che stanno sulla coscienza soprattutto di quei “poteri forti” che spinsero forsennatamente, in Italia contro la volontà del popolo e del Parlamento, perché il conflitto cominciasse. Ma il rancore prodotto dalla guerra non si spegnerà con la sua fine e produrrà un continuum di odio che sfocerà nella Seconda guerra mondiale, poco più di vent’anni dopo.
Dall’esaltazione della guerra come fattore di rigenerazione si è passati oggi a un pacifismo ideologico, che esalta la pace con lo stesso irrealismo con cui si inneggiava allora alla guerra. Un pacifismo che stenta a riconoscere il dovere di fermare l’aggressore, come avviene davanti al genocidio delle minoranze religiose in Iraq per colpa del terrorismo di fanatici islamisti, un pacifismo che non riesce a prendere atto che a volte bisogna avere il coraggio di gridare in nome della pace, come fece Benedetto XV e come hanno fatto Giovanni Paolo II e Papa Francesco in Iraq, ma a volte bisogna gridare perché vengano disarmati coloro che aggrediscono l’innocente, come hanno fatto sempre Giovanni Paolo II in Bosnia negli anni Novanta e oggi Francesco di fronte ai crimini dell’Isis.