La cronaca quotidiana ci presenta sempre più spesso casi di attacchi alla famiglia naturale, alla maternità e alla paternità. Raccontiamone qualcuno, per prendere coscienza del problema antropologico e sociale.
Ci sono giorni in cui mi meraviglio che la gente non scenda in piazza ad urlare il proprio sdegno per i vergognosi attacchi alla vita umana, alla famiglia, ai diritti dei bambini. I TG mettono in risalto la crisi Ucraina (doveroso), il debito della Grecia (noi non siamo messi molto meglio), per dare un tocco di originalità ci raccontano che è inverno e nevica: incredibile, se non ce lo avessero raccontato loro, non se ne sarebbe accorto nessuno. E naturalmente il festival dei fiori è l’argomento del giorno.
Ma quello che mi preoccupa è l’apparente disinteresse di fronte a quanto sta accadendo sul fronte del progressivo smantellamento della famiglia, soprattutto per l’avanzare di una cultura che ignora bellamente anche quanto è scritto nella legge. Il divieto di fecondazione eterologa è stato cancellato dalla Corte Costituzionale, ma comunque il ricorso a quella tecnica è ancora limitato alle “coppie maggiorenni, di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambe viventi.” Questo sta scritto nella legge. Eppure, c’è un totale scollamento tra la lettera della legge e quanto accade nella vita reale. Al di fuori di qualsiasi regola (ma dove sono gli assistenti sociali, quando servono?) o con l’avallo della magistratura.
Ne volete degli esempi? Mettetevi comodi e leggete quanto segue.
Il Fatto Quotidiano (9 – 2 – 2015) racconta le storie di donne single o lesbiche che vogliono avere figli. Ad esempio Diana, 43 anni, single, non ha intenzione di essere “penalizzata dallo Stato e scomunicata dalla Chiesa”. Allora va a Malaga e nascono Alice, 2 anni a mezzo, e Giulio, 1 anno. La sua morale? “Se c’è una possibilità, io ci provo”. E quando i figli chiederanno del papà?
Laura e Valeria, fiorentine, hanno anche aperto un blog per raccontare la loro esperienza: sono andate a Copenaghen per avere quello che chiamano “nostro figlio”. Nostro? Io lo so come nascono i bambini. Non può essere vostro figlio. Un box a fianco dell’articolo de Il Fatto Quotidiano è intitolato: “Quando la cicogna non arriva” e suona un po’ ironico in questo caso: se la cicogna non arriva a casa di due donne, senza fare ricorso a certe tecniche, un motivo ci sarà … Ma non insisto, non vorrei che quando le due donne parlano di “ottusità grigia e censoria del pregiudizio nei confronti dell’omogenitorialità” stessero facendo riferimento a me.
Flavia di Brescia invece, racconta sempre Il Fatto Quotidiano, non vuole andare all’estero e il donatore lo sceglie sul web. Ha scelto Peter, norvegese. “L’ho scelto perché ha un gran senso di responsabilità. Quando è stato qui per il primo tentativo, in auto si allacciava le cinture di sicurezza anche per pochi metri.”. Questo sì che vuol dire avere la testa sulle spalle.
Scopro così che ci sono forum, anche su facebook, dove si iscrivono gli uomini disponibili a donare il seme. Le donne chattano con loro, vogliono vedere le foto, poi ci si incontra per la consegna della provetta. C’è chi invia il seme per posta celere.
La nostra rassegna stampa continua con la sentenza del Tribunale di Bologna che autorizza una donna all’impianto degli embrioni prodotti nel 1996, anche se nel frattempo il marito della signora è morto. La donna, oggi 50enne, esulta per la sua vittoria.
Sempre a Bologna, sono stati prosciolti i genitori di un bimbo nato in Ucraina grazie a una madre surrogata: non è un reato, dicono i giudici, la richiesta dei due di iscrivere il piccolo nel registro dello stato civile di un Comune italiano. Il numero di casi di assoluzione, a fonte di casi di utero in affitto, sta aumentando in modo preoccupante.
Bambini che cresceranno senza un padre, altri che non conosceranno mai la donna che li ha tenuti in grembo.
Eppure la Legge 40 recita che le tecniche sono limitate a “coppie maggiorenni, di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambe viventi”.
Cosa resta? Non ci resta che piangere. Come quei bimbi che gridano: voglio la mamma, voglio il papà. Oppure svegliarci e fare tutto il possibile per fare sentire la nostra voce. Come al convegno di Milano dello scorso 17 gennaio, attaccato e boicottato da tutti i poteri forti delle lobbies, che ha visto però una grandissima partecipazione di popolo e ascolti in diretta streaming degni di un network. Voci coraggiose continuano a farsi sentire, continuiamo così, perché il livello dell’odio verso la famiglia sta alzandosi sempre più.
Susanna Manzin