Al convegno di Milano del 28 marzo incontreremo Paul Bhatti, che con coraggio ha raccolto il testimone del fratello Shahbaz Bhatti, martire pakistano, che nel suo testamento spirituale scriveva: «Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire»
Ci sono molti motivi per attendere con trepidazione l’appuntamento del 28 marzo 2015: al convegno di Milano finalmente i riflettori saranno puntati sul tema delle persecuzioni dei cristiani e sul dramma dei rifugiati; avremo l’occasione di ascoltare ospiti prestigiosi, e ancora una volta incontreremo tanti amici e assaporeremo la bellezza di un ambiente e di una compagnia che non si rassegna di fronte al male che dilaga ma vuole affermare con forza i diritti e i valori che fondano una società.
Ma c’è un incontro che personalmente mi emozionerà molto: quello con Paul Bhatti.
Forse il suo nome non dice molto a qualcuno di voi, altri invece si ricorderanno sicuramente del fratello, Shahbaz Bhatti, martire pakistano, ministro cattolico per le minoranze ucciso il 2 marzo 2011. Nato nel 1968 da una famiglia cattolica, uomo di grande fede, generoso nella carità e tenace in politica, ha dedicato tutta la sua vita affinchè le minoranze religiose nel suo paese vedessero garantita la libertà. Ha combattuto contro la legge sulla blasfemia, ha difeso Asia Bibi, la donna pakistana, madre di cinque figli, che dal 2010 è in carcere proprio a causa di quella legge.
«Shahbaz Bhatti è un martire della libertà, un eroe moderno» ha affermato l’on. Franco Frattini in occasione della sua commemorazione. La Conferenza Episcopale del Pakistan ha chiesto ufficialmente alla Santa Sede di proclamarlo «martire e patrono della libertà religiosa».
A raccogliere l’eredità di Bhatti è stato soprattutto suo fratello Paul, che avremo la gioia di ascoltare al nostro convegno. Laureato in medicina e chirurgia presso l’Università di Padova, ha lavorato per molti anni all’ospedale di Treviso. Dall’Italia sosteneva il lavoro di suo fratello in Pakistan. Dopo l’assassinio di Shahbaz Bhatti, ha deciso di tornare in patria per portare avanti i suoi progetti, pur consapevole dei rischi che affronta. Paul Bhatti è stato eletto presidente della All Pakistan Minorities Alliance, (Apma); ha fondato un’organizzazione di welfare, la Shahbaz Bhatti Memorial Trust, al fine di garantire che la missione di Shahbaz Bhatti possa continuare e che il suo sacrificio non sia vano.
«Ai funerali di mio fratello» ha raccontato al Meeting di Rimini nell’agosto 2011 «mi ero accorto che la gente si sentiva orfana, come se avesse perso un familiare, una guida. Ma quando mi hanno proposto di prendere il suo posto sono rimasto perplesso. All’inizio, confesso, non me la sentivo. Mi sembrava una cosa molto più grande di me, a cui non ero preparato. Poi Dio mi ha dato la forza di accettare.»
Così ha appeso il camice al chiodo, ha lasciato la vita tranquilla e sicura in Italia e ha continuato con coraggio il lavoro del fratello.
«La testimonianza da noi diventa una scelta vera. Io ho imparato che non si può giungere alla pace percorrendo strade sicure. Per la pace bisogna rischiare e affidarsi totalmente a Dio, porre nelle sue mani la storia dei popoli.»
Ci vuole coraggio e al nostro convegno incontreremo quest’uomo che con la sua stessa esistenza dimostra cosa vuol dire abbandonare tutto per intraprendere la strada della buona battaglia per la libertà e la verità.
Per conoscere meglio chi era Shahbaz Bhatti, leggete il suo toccante testamento spirituale:
“Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia.
Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.
Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: «No, io voglio servire Gesù da uomo comune».
Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora – in questo mio sforzo e in questa mia battaglia per aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan – Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita. Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese.
Molte volte gli estremisti hanno cercato di uccidermi e di imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Gli estremisti, qualche anno fa, hanno persino chiesto ai miei genitori, a mia madre e mio padre, di dissuadermi dal continuare la mia missione in aiuto dei cristiani e dei bisognosi, altrimenti mi avrebbero perso. Ma mio padre mi ha sempre incoraggiato. Io dico che, finché avrò vita, fino all’ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri.
Voglio dirvi che trovo molta ispirazione nella Sacra Bibbia e nella vita di Gesù Cristo. Più leggo il Nuovo e il Vecchio Testamento, i versetti della Bibbia e la parola del Signore e più si rinsaldano la mia forza e la mia determinazione. Quando rifletto sul fatto che Gesù Cristo ha sacrificato tutto, che Dio ha mandato il Suo stesso Figlio per la nostra redenzione e la nostra salvezza, mi chiedo come possa io seguire il cammino del Calvario. Nostro Signore ha detto: «Vieni con me, prendi la tua croce e seguimi». I passi che più amo della Bibbia recitano: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi». Così, quando vedo gente povera e bisognosa, penso che sotto le loro sembianze sia Gesù a venirmi incontro.
Per cui cerco sempre d’essere d’aiuto, insieme ai miei colleghi, di portare assistenza ai bisognosi, agli affamati, agli assetati.
(pubblicato in Cristiani in Pakistan. Nelle prove la speranza. Marcianum Press, Venezia 2008)
Susanna Manzin