Un viaggio in un Paese disperato senza essere sazio, direbbe oggi il card. Giacomo Biffi. La Corea del nord è tuttora un Paese comunista, con tutte le drammatiche conseguenze. Un “turista” ci racconta l’esperienza di una visita nel Paese, naturalmente pilotata, ma sufficiente per capire.
Settanta anni fa in Corea si diede inizio ad un grande esperimento sociale che è tutt’ora in corso. Un Paese con un popolo che per etnia, lingua e cultura è omogeneo come pochi al mondo, fu diviso col coltello in due parti uguali.
Al Nord, di poco più avvantaggiato, perché più esteso, con un sottosuolo più ricco e con un’iniziale industria estrattiva (eredità del dominio giapponese), fu imposto un sistema di pianificazione centralizzata, nel quadro di un Stato socialista sul modello sovietico. Al Sud, invece, un’economia di mercato dentro un sistema politico di tipo autoritario, evoluto negli anni ’90 in una democrazia.
Come sia andato questo esperimento è facile capirlo dalla risposta che le guide turistiche cinesi danno ai curiosi che si apprestano a visitare la Repubblica Popolare Democratica di Corea: “Ma volete proprio andare a vedere come eravamo noi quarant’anni fa?”.
In effetti oggi andare in Nord Corea è fare un viaggio nel tempo nella Cina di Mao Tze Tung (come lo pronunciavano i contemporanei).
La vetrina
Per i turisti sono previste solo visite guidate in cui viene mostrata loro la capitale, cioè la vetrina, coi grattaceli tipici di una metropoli degli affari, e poche altre località meritevoli per i loro criteri.
Nel centro monumentale della capitale si ergono le imponenti statue bronzee di Kim Il Sung e Kim Jong Il, rispettivamente il “Presidente Eterno” e il “Caro Leader”, la torre-faro dell’Idea Juche (una filosofia inventata da Kim Il Sung stesso), il monumento al Partito dei Lavoratori e, infine, le sterminate, solenni piazze. Quanto basta per capire che siamo ben oltre il culto della personalità tipico di tanti regimi socialisti. Infatti questo trascende in forme religiose, sancite da regole a cui neppure un disincantato turista straniero può sottrarsi: divieto di pantaloni corti o sandali, acquisto e deposizione di mazzo di fiori, ampio inchino, divieto di additare con l’indice, divieto di ripresa fotografica che non sia dell’intera figura statuaria, obbligo, in uno di questi palazzi, di calzare soprascarpe, tono di voce pacato. Ognuno di questi luoghi monumentali è solennizzato dal numero di visite compiute dal Grande Leader e da quelle del Figlio. Non vi è edificio o stanza pubblica che non rechi all’entrata le due icone.
Ma l’ammirazione per una tale vetrina è destinata a svanire presto non appena si scopre che, per esempio, il mozzafiato Ryugyong Hotel non è ancora terminato, perché non riuscendo a sostenere gli enormi costi di gestione per pochissimi fruitori, sarebbe destinato a rimanere disabitato. Per lo stesso motivo è chiuso anche il faraonico Hyangsan Hotel sui monti Myohyang.
Stupisce, inoltre, come tali capacità progettuali e know how sappianomanifestarsi solo in opere edilizie avveniristiche mentre il resto della nazione versa in una desolante arretratezza.
Anche nelle sale più prestigiose, anche negli alberghi più lussuosi, infatti, c’è sempre una luce bianca e triste, insufficiente e mal distribuita. Dalle case passano luci fioche da vetri sporchi. La sera è buia, i lampioni radi. Tutto questo sebbene l’elettrificazione sia vanto e simbolo (proprio come piaceva a Lenin): lo stemma ufficiale dello Stato raffigura la centrale elettrica e il traliccio dell’alta tensione e la Costituzione menziona, accanto ad altre due, la Rivoluzione Tecnica. Tutto questo a differenza dell’altra Corea che non ne parla, ma fa parlare le cifre della Daewoo e della Samsung.
Un paese “premoderno”
Se poi ci si allontana dalla capitale ci si imbatte in un vero e proprio paese “premoderno” che viene mostrato ai turisti a malincuore, raccomandano ai contadini di non intrattenersi e vietando ai visitatori di fare foto.
Fatta eccezione di alberghi per funzionari e turisti esteri, in tutto il Paese l’acqua non passa dai rubinetti. Per diverse ore al giorno manca l’energia elettrica e può succedere che per far partire un video che illustra ai turisti i traguardi raggiunti, debbano accendere un generatore d’importazione.
Per lunghe distanze sulle strade principali trovi autocarri, spesso militari, ma come in città prevalgono i pedoni e le bici. La ferrovia è affiancata da una pista pedonale-ciclabile. L’autostrada a quattro corsie con aiuola è come le nostre, solo che è vuota di macchine ed è percorsa quasi esclusivamente da bici e pedoni.
Tutto il lavoro agricolo è ancora compiuto a mano: i cereali si mietono con le falci e poi si fanno i covoni. Tutto è portato a braccia: gli ausili sono la gerla per altissimi carichi di stoppie, il carrettino a mano per i sacchi e la barella per terra e sassi. Grossi volumi si portano anche spingendo la bicicletta o quando va bene su carri trainati da bovini magri. Anche la gente è magra.
Militarizzazione dell’intera società
Nei campi sventolano bandiere rosse che, però, non incidono sull’efficienza. Ogni gruppo di contadini è presenziato da un soldato. Infatti, in campagna come in città, tutto è pervaso dalla presenza dell’Esercito. La metà degli uomini e buona parte delle donne vestono in uniforme. Almeno un terzo della popolazione sono soldati. Se si considera poi che anche gli scolari vestono la divisa e molta gente usa la giubba perché c’è carenza anche di vestiti, possiamo definire la Corea un paese in uniforme. Dei pochi programmi televisivi trasmessi negli show l’orchestra è di soldatesse e la cantante solista, anch’essa in divisa, termina il pezzo con il saluto militare. Così fanno anche i bambini dopo il saggio di danza.
Le statistiche dicono che sia l’esercito più numeroso al mondo, non necessariamente il più efficace. Ai soldati e soldatesse si fanno fare tutti i lavori, edilizi, agricoli, stradali, fino ai più dequalificati. Una vera e propria industria della manodopera gratuita, come in Eritrea.
Se a ciò si aggiunge il fatto che vige l’obbligo di residenza e che l’unico turismo permesso è quello in comitiva, presso i monumenti, le case natali dei Leader e i luoghi sacri della Guerra antimperialista, appare evidente che la popolazione versi in una vera e propria condizione servile.
Eppure, anche in tale desolazione, le aiuole di fiori che accompagnano pressoché tutte le strade e l’intera ferrovia, sono curate e graziose e i grandi condomini popolari, pur se vecchi, sono dipinti. Questo a differenza di tutti gli altri Paesi Socialisti. Forse che questo involucro pseudoreligioso della dinastia dei tre Kim, con le sue pretese filosofie conferisca un poco di spiritualità ad un popolo abbruttito?
C’è da dubitare invece che sia solo spiritualità la musica che ogni giorno viene diffusa in tutto il Paese a partire dalla sveglia delle cinque, perché oltre a note armoniose veicola slogan e pensieri dei Cari Leader. Non è un’esagerazione di chi scrive: è veramente una somministrazione statale della musica.
Lo statalismo
Tutto è dello Stato. Targhe private non se ne vedono, anche perché il carburante neppure esiste nella tessera dei coupon. Coupon è il sistema di razionamento presente in tutti i regimi socialisti: sa lo Stato di che cosa tu hai bisogno e in che misura. Una serie di generi basici (riso, olio, uova, sapone, pasta dentifricia) vengono assegnati in base alla numerosità della famiglia ed altri indicatori meritocratici. Se non adempiono i doveri sociali e politici un primo livello di sanzione è proprio sui coupon. C’era in tutti i Paesi socialisti persino nella Germania Democratica. Ma può un simile sistema permettere una elevazione nella qualità dei prodotti?
Segnali di cambiamento?
Commentatori benevoli riferiscono di pur lenti cambiamenti e di una qualche evoluzione. Tuttavia di quei timidissimi segni di apertura al mercato, come le micro attività in proprio che sono apparse a Cuba, non se ne vede neppure l’ombra.
I “Campi di rieducazione attraverso il lavoro”, cioè i gulag, ci sono ancora tutti: Yodok, Kaechon, Hwasong, Bukchang, Hoeryong, Chonjin, etc. Anzi, l’anno scorso, esuli nordcoreani, ora residenti in Sud Corea, dall’esame di recenti mappe di Google e in base alla propria esperienza, hanno dedotto l’edificazione di ulteriori campi. In essi si continua a soffrire e morire.
Infine, nonostante le menzogne che si raccontano ai turisti, per gli osservatori internazionali la Corea del Nord continua ad essere il paese al mondo dove la religione è maggiormente perseguitata; vieppiù la cristiana, “strumento della penetrazione colonialista” per usare le parole testuali e convinte della italiana Enciclopedia Nuovissima, Edizioni del Calendario del Popolo, Roma, 1959.
Arturo Carli