Le tragedie sembrano gettare un’ombra sulla condizione umana sulla terra. Invece l’Uomo dei dolori ci è sempre accanto, perché è anche il Risorto
di Michele Brambilla
C’è qualche commentatore che ha accusato l’omelia di mons. Mario Delpini per il funerale di Silvio Berlusconi di non essere stata sufficientemente “apocalittica”, di non aver calcato la mano, come alcuni speravano, sui Novissimi. In realtà non c’è riflessione del nostro arcivescovo che non prenda sul serio le domande più profonde dell’uomo e le illumini con la luce della Pasqua di Cristo.
L’omelia pronunciata in Duomo il 21 luglio per i funerali delle 6 vittime del rogo della Casa dei coniugi al Corvetto ne è una dimostrazione evidente. Inizia infatti da una serie di «no, non è vero. Tu non sei un niente che si perde nel nulla.
No, non è vero. Tu non sei una solitudine desolata che è destinata a svanire senza che alcuno ne senta la mancanza. Anche se non hai nessuno della famiglia, anche se nessuno verrà alla tua tomba per deporre un fiore, tu non sei solo». L’arcivescovo ricorda così che siamo tutti qualcuno in cammino verso Qualcuno. Di fronte alla fragilità del nostro corpo, la società contemporanea offre quasi unicamente il veleno del nichilismo, che insinua in tutti la sensazione che l’atto stesso di vivere non abbia senso, se termina in un certo modo, oppure cerca una qualche consolazione nella sentenza giudiziaria, a cui viene attribuito il compito di placare, più che altro, la sete di vendetta.
«Noi siamo qui a testimoniare che anche chi non ha nessuno, se non si ostina in un isolamento risentito, sperimenta una trama di rapporti, una sollecitudine che ho visto abituale nel personale dell’RSA. Anche chi – come si dice – non ha nessuno, riconosce il sorriso di chi lo accudisce ogni giorno, del compagno della camera vicina con il quale chi sa come è cresciuta una intesa, quasi una amicizia», ma soprattutto per tutti, anche nel terrore dell’incendio che ha devastato la casa di riposo, rimane sempre quel Signore fedelmente atteso nella festosa Messa domenicale. Il Cristo eucaristico, il Cristo pasquale, quel Gesù che per noi ha dato la vita e non permetterà al male di dire su di noi l’ultima parola. «Allora, smentite tutte le promesse umane, allora contraddetto ogni desiderio umano di essere felici, allora in quella notte, per Laura, Paola, Mikhail, Anna, Loredana, Nadia, allora, nel momento tragico e disperato, il Signore Gesù con le ferite gloriose della sua passione, pronuncerà il nome di Laura, Paola, Mikhail, Anna, Loredana, Nadia e dirà: “Padre, io voglio che Laura, Paola, Mikhail, Anna, Loredana, Nadia siano con me, dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato», come lo disse agli Apostoli e a tutti gli uomini che fanno affidamento su di Lui.
Se guardiamo al Crocifisso risorto, «questa celebrazione, nella sua austera solennità, non è una specie di patetico gesto di risarcimento per una disgrazia troppo incomprensibile. Piuttosto è l’incontro drammatico tra la pietà commossa e l’impotenza insuperabile della città e la Parola che parla con una autorità troppo più alta e indiscutibile di ogni parola umana». Di fronte alla mostruosità del male, l’uomo può chiedere «“Signore, dove sei? Signore dov’eri? Signore, che cosa vuoi?”. E la Parola dell’Uomo dei dolori, dell’Uomo delle ferite risponde: “Ecco dov’ero: ero là a morire con loro, ero là per essere unito a loro nella somiglianza della loro morte. Ecco dov’ero: sono Crocifisso”» con loro, ma la vita di Gesù non si ferma al Venerdì Santo.
Lunedì, 24 luglio 2023