I vescovi lombardi scrivono ai fedeli perché mancano sia eletti che elettori
di Michele Brambilla
In vista delle elezioni europee e amministrative, il 14 marzo mons. Mario Delpini pubblica, assieme ai vescovi delle altre diocesi lombarde, un messaggio che è anche un appello nei confronti del laicato cattolico. Ci si è infatti accorti della scarsa cultura politica dei cattolici, specchio, peraltro, dell’altrettanto evidente ignoranza dottrinale, e del fatto che anch’essi votano seguendo parametri molto spesso individualistici.
Ma il primo punto è che «l’assunzione di responsabilità da parte dei cristiani e delle persone serie, capaci, oneste in politica è particolarmente urgente in questo tempo», in cui mancano anche politici che si possano definire pienamente cattolici. I vescovi, allora, ricordano che «l’interessamento e l’impegno diretto in politica è una doverosa espressione della cura per il bene comune. L’indifferenza che induce all’astensionismo, il giudizio sommario che scredita uomini e donne impegnati in politica sono atteggiamenti che devono essere estranei alla comunità cristiana».
Quali sono i punti qualificanti dell’impegno dei cattolici in politica? L’episcopato lombardo prova a tratteggiare una lista, nella quale si denunciano le guerre, il traffico di armi, le disuguaglianze sociali e le speculazioni finanziarie, ma trova spazio anche un «no alla cultura individualistica e libertaria che legittima l’aborto come diritto e non rispetta la vita di persone fragili» e un altrettanto perentorio «no a una gestione delle risorse della comunità che trascuri i bisogni primari della casa, del lavoro, della formazione».
«I cristiani che ricoprono responsabilità in ambito politico e amministrativo devono trovare nella comunità cristiana il contesto propizio per alimentare la loro fede nell’ascolto della Parola di Dio, per motivare il loro servizio al bene comune, per trovare negli insegnamenti della Chiesa e nel confronto fraterno il contesto propizio per un saggio discernimento», evitando sia l’autoreferenzialità che il “fai da te” dottrinale.
A scanso di equivoci e corteggiamenti ambigui, che in passato non sono mancati, si ricorda che «compito dei pastori è formare le coscienze, motivare l’impegno, incoraggiare le responsabilità, astenersi dal prendere posizioni nel confronto tra i partiti e le persone che si presentano per raccogliere il consenso dell’elettorato». Bisogna sempre rammentare che «le strutture delle parrocchie e degli altri soggetti ecclesiali non possono essere utilizzate per la campagna elettorale». Ad ogni modo, «la comunità cristiana, associazioni e movimenti devono sentirsi incoraggiati a promuovere di propria iniziativa opportuni confronti su temi sociali e iniziative di formazione per suggerire criteri di discernimento in ogni ambito della vita, anche in quello politico e amministrativo», a patto che non si trasformino, ovviamente, in inopportuni comizi elettorali. I candidati che ricoprissero incarichi parrocchiali o apicali in qualche movimento cattolico devono, altrettanto opportunamente, auto-sospendersi dalle proprie cariche.
L’arcivescovo, coi confratelli, si chiede: «Verranno giorni di pace? Sarà possibile una società più giusta? Sapremo costruire una città, un paese, un’Europa dove sia desiderabile abitare insieme?». Non esistono automatismi, ma certamente, se i cattolici faranno il loro dovere di eletti ed elettori, avremo perlomeno governi europei più confacenti alla dottrina sociale della Chiesa.
Lunedì, 18 marzo 2024