Mons. Delpini celebra l’Annunciazione nella basilica di S. Maria degli Angeli ad Assisi assieme ai preti nei primi dieci anni di Messa. A loro ricorda che, nonostante tutte le difficoltà, il ministero sacerdotale è sempre accompagnato dalla grazia di Cristo e dalla vocazione alla santità
di Michele Brambilla
Quest’anno il 25 marzo cadeva il Lunedì Santo, motivo per cui la solennità dell’Annunciazione è recuperata l’8 aprile, quando mons. Mario Delpini si fa pellegrino ad Assisi assieme ai preti che compiono i primi 10 anni di sacerdozio. Il pellegrinaggio raggiunge anche Norcia, Greccio, L’Aquila e Cascia, tutti luoghi segnati da giganti della fede, ma anche dai terremoti più recenti. Non a caso sono previsti momenti di incontro con i vescovi locali, che parlano delle particolari difficoltà del ministero nei luoghi terremotati.
Nella sua omelia dell’8 aprile, pronunciata durante la Messa presso la Porziuncola, nella basilica di S. Maria degli Angeli, l’arcivescovo rimprovera a chi ritiene la pagina dell’Annunciazione “scontata” che «no, non basta quello che abbiamo già studiato, insegnato, predicato. No, non si può ridurre a un racconto edificante per anime buone la pagina del Vangelo» in cui Dio si fa carne. «L’estremismo dei santi risulta incomprensibile se non consentiamo alla parola del Vangelo di essere quella spada tagliente che ferisce in profondità», spiega infatti con un linguaggio volutamente “ruvido”, come è ruvida la vicenda di un Dio nato in una stalla, crocifisso sul patibolo più infamante della sua epoca e risorto con il suo vero corpo.
Maria alle parole dell’angelo ha un momento di sconcerto, ma poi risponde di si. L’arcivescovo chiede a ciascun sacerdote «in che cosa consiste il tuo turbamento». Sono molti i motivi per i quali un prete potrebbe essere amareggiato, dalla riottosità del gregge a qualche ambizione inconfessata. In ogni caso, la risposta è da ricercare «più a fondo»: ogni crisi di fede è, appunto, una crisi di fede.
Occorre allora ribadire che ognuno di noi ha un momento e un luogo nel quale ha riconosciuto la presenza del Signore che chiama, e «il punto d’arrivo del pellegrinaggio verso il tuo luogo santo è il saluto e il messaggio che viene da Dio: rallegrati, io sono con te» tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Scoprirò così che «nella nostra intimità più profonda non c’è, come si potrebbe temere la solitudine; non c’è il senso di colpa; non c’è il risentimento o un senso di fallimento. Nella nostra intimità più profonda e vera c’è il Signore che mi parla».
Anche il prete si fa delle domande, ma «forse non c’è tempo per le domande. Forse il viaggio in profondità, il pellegrinaggio verso la nostra verità risulta troppo arduo, richiede un silenzio che non si riesce a sopportare, una attenzione che risulta impossibile perché la mente, gli occhi, le emozioni sono invasi da troppi stimoli, richiami, invasioni. Perciò forse c’è la tentazione di trasformare il pellegrinaggio in un viaggio al di fuori di noi, in una gita per scoperte, per incontri, per ricerche scientifiche o per curiosità superficiali». Una tentazione risolvibile pensando che anche a noi, oggi, viene detto «rallegrati» perché il Signore ci è sempre accanto.
Comprendiamo anche l’importanza della liturgia: infatti, «sarebbe meschino pensare di accontentare Dio facendo delle cose, dedicandogli un po’ di tempo. Maria, a compimento del discernimento, si dichiara disponibile alla sovrabbondanza della gioia: Magnificat», esclama. Mons. Delpini cita, sempre in latino, l’inno Jesu dulcis memoria, laddove canta «nec lingua valet dicere / nec littera exprimere / expertus potest credere / quid sit Iesum diligere», per ricordare che l’autentica gioia del sacerdozio è Gesù stesso.
Lunedì, 15 aprile 2024