La prima settimana dopo la conclusione del Sinodo sulla nuova evangelizzazione è stata per il card. Angelo Scola carica di impegni, come le solennità dei Santi e dei Defunti.
Momento eminente in cui condensare i tanti stimoli è il pontificale per la solennità del compatrono (4 novembre), quel S. Carlo Borromeo che ancorò saldamente Milano alle riforme tridentine, riguadagnandola all’ortodossia ed alla disciplina. Presenti in gran numero fedeli e consacrati, l’arcivescovo Scola ha connesso il lascito carolino agli imperativi evangelizzatori della recente assise ecclesiale. L’esempio di Carlo Borromeo attesta ciò che il Sinodo ha mandato a testimoniare, cioè che “la fede non si comunica anzitutto come un elenco di proposizioni o gesti. (…) Essa fiorisce nel cuore di uomini e donne che liberamente accolgono il dono dell’incontro col Risorto che li ha sorpresi attraverso l’umanità trasfigurata dei Suoi figli”. Anche il giovane Scola ha avuto bisogno di un testimone, don Luigi Giussani, per intuire che Cristo comprende la totalità dell’umano.
Se la Chiesa è la continuazione naturale di Cristo ed il mezzo attraverso cui, concretamente, l’uomo di oggi può incontrarLo, è necessario che tutti i suoi membri si pongano in tale ottica. Questo il leit-motiv che il card. Scola trasmette riprendendo il contatto col suo clero, sia nelle udienze che in assemblee pubbliche.
Il 30 ottobre l’arcivescovo celebra la Messa di inizio anno accademico del Seminario Arcivescovile nella basilica di Venegono. Pochi giorni dopo parla ai preti della Zona pastorale I (Milano città) nell’incontro di mercoledì 7 novembre, intitolato La fede dei ministri ordinati e le sue tentazioni. L’arcivescovo (così riferisce il vicario episcopale, mons. Carlo Faccendini) ha invitato il clero cittadino a fare “come quei preti che hanno confessato il loro debito di riconoscenza verso la fede della gente, di tanta gente semplice della nostra città”, spesso in passato disprezzata in nome di fisime progressiste, o per promuovere “grandi progetti” cartacei, a cui il card. Scola preferisce “passi concreti che possono dare qualità alla presenza ecclesiale nella società civile”.
Il medesimo invito a non creare frizioni nella comunità, ma innanzitutto ad agire educando ad un senso di comunione agli sforzi di tutta la Chiesa è rivolto alla Caritas Ambrosiana nella sua giornata diocesana (11 novembre), coincidente con la festa di Cristo Re. Ad un ente che ha talvolta adottato i metodi della polemica politica e raccolto applausi interessati, l’arcivescovo scrive: “La Chiesa è comunione e luogo di educazione alla carità. (…). La comunione che scaturisce dalla vita della Trinità è l’a priori necessario dell’esistenza cristiana”. Se “la comunione è il dono e il compito che attende ogni cristiano”, essa richiede “a noi tutti di contrastare gli individualismi, purtroppo presenti anche nelle realtà caritative”. Spesso in passato l’opera di carità è stata propagandata con toni di rimprovero verso i cattolici che ricordano la priorità dei valori non negoziabili, che a ben vedere sottintendono anche il valore della vita del povero.