“I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia (…). Vivendo in città greche o barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile ed indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri, partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. (…) A dirla breve, come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani”. Questo celebre passo (par. V-VI) della Lettera a Diogneto, testo apologetico del II secolo d.C., risuona nel Duomo di Milano la sera del 4 ottobre, provvidenzialmente alla vigilia del grande convegno di Alleanza Cattolica sulla legge antiomofobia, durante il quale tanti cattolici impegnati da sempre in politica hanno espresso la loro opinione da credenti su fatti di rilevanza antropologica.
Il 4 ottobre migliaia di giovani ambrosiani hanno riempito, come tradizione, le navate del Duomo di Milano in occasione della veglia Redditio Symboli.
I diciottenni provenienti dagli oratori consegnano all’arcivescovo la “regola di vita”, una lettera nella quale esprimono propositi a cui intendono rimanere fedeli.
Il card. Angelo Scola accoglie le lettere seriamente, osservando crescere in quei giovani il seme buono che è seminato nel campo descritto nella parabola della zizzania (Matteo 13, 24-30.36-43). E dice cose che sembrano rivolte ai cattolici che combattono ogni giorno la buona battaglia a livello pubblico. “I cristiani, diceva il grande Peguy, sono i più “civici di tutti gli uomini”, i più impegnati seriamente, quando sono autentici evidentemente (…), ma lo sono in un modo paradossale. In cosa consiste questo paradosso? Vivono nella loro patria (siamo italiani), ma come forestieri”. Questa frase di Diogneto allude alla “vera prospettiva del nostro vivere”, cioè “all’eternità”. Il cielo è anticipato da “Gesù risorto che è vivo in mezzo a noi”. Il credente vive nel mondo con doveroso impegno, ma secondo principi che tengono ben presente il fatto che si cammina verso la comunione piena con Dio. Il seme buono, innaffiato dalla fede di Maria, dei Santi e dei nostri padri, cresce nella speranza tenace della Risurrezione. C’è una tradizione ed una speranza che non devono essere dimenticati negli affanni della lotta.
Il card. Scola sprona i giovani ad una vita secondo Cristo e parlando degli adolescenti alle prese con i primi amori allude al fatto che l’amore vero ed il matrimonio è tra uomo e donna (“fidanzato…fidanzata, nel senso dei due sessi, eh!”). Il “nostro vero corpo” è anch’esso destinato all’eternità, ad essere redento così com’è.
Più volte, nel nostro convegno, si è discorso di quel tipo di peccati che toccano tutta la società. In Duomo l’arcivescovo lamenta un atteggiamento ormai comune nei confronti del peccato dei singoli: “Quanto siamo lontani dal dolore del nostro peccato. Eppure senza questo dolore non possiamo risorgere! Al massimo abbiamo un senso di colpa, ma il dolore è incontrare nel pianto il volto del Crocifisso che ti parla”.
La vita buona secondo il Vangelo riluce anche nella scelta di due donne, il 5 ottobre, in S. Simpliciano, l’antica Basilica Virginum edificata da S. Ambrogio, di consacrare la loro verginità al Signore nell’Ordo Virginum diocesano. “Il vostro impegno definitivo vi renda testimoni del bell’amore, l’amore che è per sempre e che resta fedele. Sappiate amare come Cristo che, per primo, ci ha amato e ci ama. (…) Vogliamo invocare per loro una fedeltà luminosa e incandescente che contribuisca a mostrare la bellezza dell’umano trasformato da Cristo, anche negli impegni più comuni ”. E’ nuovamente un invito all’impegno senza paura. A poche ore di distanza dal nostro convegno, il card. Scola tuona: “Qui si situa il problema della fede per noi cristiani postmoderni: se Cristo è tutto per noi o sia solo una parte, se accogliamo per intero il suo comandamento dell’amore”. Se il cattolico nasconde il seme, per timore di offendere chi non crede, o invece testimonia, pur nel rispetto, la totalità del Vangelo.
Anche durante la visita pastorale a Locate Varesino (VA), domenica 6 ottobre, l’arcivescovo insiste: “La fede – motivo per cui sono tra voi – deve essere criterio di vita negli aspetti quotidiani che siamo chiamati a vivere ogni giorno, negli affetti, nel lavoro, nel riposo”.