A seguito della tragedia del 3 ottobre scorso, quando centinaia di siriani ed eritrei sono affogati nel Mediterraneo a causa dell’incendio del barcone che li stava conducendo clandestinamente a Lampedusa, si è fatto un gran parlare di una possibile eliminazione del reato di clandestinità (introdotto dall’ultimo governo Berlusconi su azione dell’allora ministro dell’Interno, Roberto Maroni), correlato alla più antica legge Bossi-Fini. L’azione della Chiesa, e di Papa Francesco in particolare, sono spesso interpretate sui media come un invito all’accoglienza indiscriminata di quanti bussano alle porte dell’Italia.
Ma è proprio questo quello che dice la Chiesa? Cadono quindi a fagiolo le parole spese dal card. Angelo Scola a commento della veglia milanese in commemorazione delle vittime di Lampedusa, tenuta significativamente a S. Stefano Maggiore, la chiesa di riferimento della cappellania dei latinoamericani residenti a Milano.
“Chiediamo alle autorità italiane ed europee di collaborare con solerte decisione alla ricerca e all’attuazione di nuove ed equilibrate politiche per l’immigrazione”.
Il monito interpella anzitutto quella UE che in questi anni non ha dato alcuna direttiva univoca ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, lasciando che si autogestissero come meglio credevano. Le politiche invocate devono essere “nuove”, ma la parola chiave è “equilibrate”. Non devono cioè pesare più su alcuni Stati che su altri e non tralascino le coste da cui le carrette partono. Bisogna intervenire, infatti, anche sugli scafisti e le nazioni di cui gli immigrati sono originari.
“Il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona domanda di essere promosso da ogni legislazione”. La Chiesa accoglie i bisognosi e prega per i defunti riconoscendo in ciascuno il volto di Cristo sofferente. Tuttavia, non c’è alcun dubbio che il flusso di immigrati debba essere regolato, perlomeno per non creare nuove situazioni di squilibrio. Il card. Scola riconosce senza incertezze il diritto/dovere dell’autorità civile a porre delle regole: “All’autorità politica compete la retta regolamentazione del fenomeno dell’immigrazione”. Di questo passaggio è da sottolineare l’aggettivo “retta”, il richiamo ancora una volta all’uso della ragione.
Una nazione non è composta solo dallo Stato, ma anche e soprattutto dalla sua società civile, ovvero i cosiddetti “corpi intermedi”. A loro l’arcivescovo dice: “Continui l’opera di integrazione di donne e uomini che giungono a noi dalle periferie della povertà e del dolore”. Non si giunge a vera integrazione senza incontro tra uomini. Ma per fare ciò occorre che chi accoglie abbia una cultura forte di riferimento, che gli permetta di valutare obbiettivamente l’alterità che ha davanti.
Non è un caso che la frontiera del processo di integrazione siano diventati il cortile degli oratori e le mense dei frati, perché lì c’è quella identità solida che manca alla società post-moderna nel complesso per essere veramente in grado di assimilare. Togliere il Crocifisso o l’albero di Natale non ha mai aiutato nessuno a comprendere qualcosa di più dell’Europa.