La cronaca nera attraversa come un sottofondo le festività di Tutti i Santi e dei Defunti. Nelle omelie del 1 e del 2 novembre il card. Angelo Scola richiama come campanelli d’allarme per la cittadinanza meneghina sia i due delitti avvenuti nel turbolento quartiere di Quarto Oggiaro, dove sono stati assassinati due vecchi pregiudicati, sia il più lontano massacro di Sadad (Siria), che ha tolto la vita a 45 cristiani. “Solo il bene impedisce al male di dilagare”, pertanto serve una mobilitazione di tutte le forze del bene. “Non sono pochi i frutti della semina che il seminatore buono continua a fare nel campo del mondo”, scandisce l’arcivescovo dal pulpito del Duomo. Il card. Scola addita l’esempio dei Santi canonizzati, oggetto della giusta venerazione dei fedeli proprio perché hanno testimoniato nel mondo la “vittoria del bene e della vita sul male e sulla morte”.
Il cattolico guarda quindi il cielo, sede della sua speranza, ma per irrorare della volontà di Dio la terra. La carnalità della vita sta a cuore al credente alla pari della salvezza dell’anima spirituale, perché “nel cuore di ciascuno, anche di chi dice di non credere, c’è un’insopprimibile anelito a vivere per sempre. I cristiani vanno oltre. Il loro orizzonte non è solo l’immortalità: è la resurrezione della carne” (omelia in Duomo per la Commemorazione dei fedeli defunti). Un antico proverbio recita: spes in coelis, pes in terris. Speranza nei cieli, piede per terra, ad unire mistica e concretezza. Un assunto fatto proprio nei secoli da milioni di lombardi, pragmatici proprio perché cattolici.
Non stupisca quindi che l’apostolato comprenda come mezzi anche i gesti più umili e conviviali della quotidianità. Il card. Scola non si limita a perorare la causa dei tanti disagiati che, in questi mesi, bussano sempre più insistentemente agli sportelli della Caritas ambrosiana, nell’aulica cornice della Messa di suffragio per i caduti delle forze armate, celebrata in S. Ambrogio la mattina del 2 novembre, ma approfondisce l’argomento assieme al governatore della Lombardia, Roberto Maroni, nell’atmosfera del tutto domestica di un caffè, offerto nella canonica della basilica dal parroco, mons. Erminio De Scalzi. A quel semplicissimo tavolo, tra una pasta e l’altra, si è discorso di povertà, disagio giovanile, carceri e beni culturali.
Il 4 novembre, solennità di S. Carlo Borromeo per l’arcidiocesi ambrosiana, riapre il Museo della Fabbrica del Duomo, sottoposto ad un radicale restyling. La vita concreta di una comunità cristiana comprende le necessità materiali dello stesso tempio in cui si raduna. Maroni stanzia per il restauro del Duomo di Milano, simbolo della Lombardia intera, 1.500.000 euro dei fondi regionali, venendo così incontro alle difficoltà della Veneranda Fabbrica. La Chiesa non considera in contraddizione con il voto di povertà la costruzione di edifici sacri solenni, con eventuali dorature. Dio merita il meglio che l’uomo è in grado di produrre, perché la bellezza è un bene che va a vantaggio di tutti, anche dell’elevazione spirituale del povero.