Domenica 10 novembre per il Rito ambrosiano è già la festività di Cristo Re dell’universo. Nella contemplazione della potestà regale di Gesù Cristo sul creato culmina l’anno liturgico, che ha visto il dipanarsi dei misteri dell’incarnazione, della morte e della resurrezione di questo Re, al quale si chiede “vinci in noi la tirannia del peccato” (seconda orazione delle Lodi).
In questo contesto, val la pena di tornare su alcune delle parole pronunciate dall’arcivescovo card. Angelo Scola nell’omelia della solennità di S. Carlo Borromeo (4 novembre). Normalmente, essa è rivolta in particolare ai preti, dato che Carlo Borromeo riformò in profondità il clero ambrosiano.
Sicuramente i moniti rivolti ai sacerdoti sono numerosi e puntuali, con uno specifico soffermarsi sul rapporto con la liturgia. “Carissimi sacerdoti, guardando a San Carlo impegniamoci a verificare i nostri ritmi di preghiera: la preghiera quotidiana, la preghiera settimanale, la preghiera dei tempi liturgici, i momenti di preghiera annuali (esercizi spirituali, pellegrinaggi). Ricordiamoci, in particolare, che la liturgia fa spazio alla creatività, ma non all’arbitrio.
Gli spazi per la creatività sono indicati nelle rubriche: chi prepara e presiede la celebrazione deve interpretarli con umiltà, intelligenza e fedeltà”. Tante volte il clero diocesano passa come quello che “corre” e trova pochissimo spazio per la preghiera personale, ma che ne è del sacerdote senza la preghiera e la disponibilità all’ascolto? Oltre a questo, c’è la preoccupazione causata dagli abusi liturgici. Il card. Scola esige un’applicazione rigorosa delle norme e dei rituali, affinché la liturgia risplenda nella sua sobria oggettività.
L’arcivescovo guarda però all’intera eredità del Santo predecessore, che stimolò la partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico tramite le confraternite e gli oratori e più volte richiamò i genitori ad essere i primi educatori dei figli. Il laicato ambrosiano ha nei secoli interiorizzato le prescrizioni di S. Carlo, dando vita ad una civiltà originale, ma la situazione odierna obbliga a non dare per scontate le cose “per tradizione”. “Il “cattolicesimo di popolo”, per certi versi ancora vitale sul nostro territorio, non avrà futuro se non passa dalla “convenzione” alla “convinzione”. Seguendo il criterio della pluriformità nell’unità, capace di valorizzare tutto l’esistente che lo Spirito suscita nella nostra Chiesa ambrosiana, attueremo l’invito di Paolo: «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace» (Epistola, Ef 4,1-3)”. Il grande merito del Borromeo fu restituire ai milanesi l’orgoglio di essere “popolo cattolico”. Nel XXI secolo è necessario più che mai ritrovare tutti quell’orgoglio e testimoniarlo come comunità cristiana, nella docilità al Magistero e nell’unità d’azione tra le varie anime del mondo cattolico.
Il card. Scola addita l’unione inscindibile tra Fede e vita anche all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Cattolica di Milano (6 novembre). “Se la vita quotidiana resta fuori dai contenuti e dai metodi della ricerca, la ragione, il per chi e perché siamo qui, non raggiungeremo lo scopo voluto con tenacia dai fondatori, che è stato conservato fino a oggi e che sta a noi oggi portare avanti”. Il ricordo del rettore Giuseppe Lazzati (1909-86) ha il medesimo scopo del commemorare S. Carlo: “Il rinnovamento, nella vita della Chiesa, ha sempre avuto come attori principali i santi. Nel loro quotidiano dialogo con il Signore, che è il vero protagonista della storia della Chiesa e di ogni suo processo di purificazione, i santi diventano co-agonisti”, combattono (agon = battaglia), cioè, in unione con Cristo, diventando “preziosi edificatori di una civiltà dal volto umano”.