“Da che mondo è mondo si crescono i figli, li si prepara alla vita adulta, li si attrezza a stare al mondo. È l’opera perenne delle generazioni che si protendono a «dare la vita» garantendo un futuro a questo mondo e all’umanità tutta. Compito arduo eppure affascinante quello dell’educare e, come accade per tutte le cose preziose della vita, non lo si sceglie in piena consapevolezza, non se ne conosce in anticipo tutta la portata, viene come assegnato «in automatico» non appena i cuccioli si affacciano sulla scena di questo mondo”. L’ufficio diocesano per la pastorale familiare di Milano introduce così il manifesto Dove siamo di casa? La famiglia educa abitando i luoghi del mondo, che circola in queste ore nelle parrocchie. Ad indicare ancora una volta l’assoluta gratuità ed imprevedibilità del dono della vita, che però, quando si verifica, implica un serio impegno educativo. Il titolo del manifesto ricorda come sia compito proprio dei laici la testimonianza dei valori della Fede negli ambienti profani.
Il card. Angelo Scola non ammette deleghe per quanto riguarda l’educazione dei bambini nelle famiglie. Lo precisa parlando alla comunità educante delle parrocchie di Carate Brianza, nella visita pastorale del 21 gennaio. L’arcivescovo ha molto a cuore il concetto di “comunità educante”, perché sprona le parrocchie a concepire l’educazione come qualcosa che riguarda tutti, non solo gli specialisti (il sacerdote, le suore dell’asilo, i catechisti). Questo meccanismo, raccomandato alla comunità, vale a maggior ragione per le famiglie, perché non c’è oratorio che tenga se dietro non c’è il lavoro pregresso dei genitori. La trasmissione dei principi “è un fatto di osmosi e di stili, non di parole” e la famiglia gioca un ruolo primario, non sostituibile da nessun maestro. Se i parenti non vanno in chiesa, o assumono comportamenti contraddittori l’uno con l’altro, le raccomandazioni dei sacerdoti verranno vissute come estranee. Alcuni termini utilizzati nella prassi catechistica, come “iniziazione cristiana”, ormai “non emozionano più”, ma possono essere recuperati se interpretati nel senso di “educazione all’appartenenza a Cristo”, sottolineando così il senso di adesione ad una Persona vivente.
L’arcivescovo ci tiene a precisare che non intende imporre l’ennesimo cantiere pastorale in cui le parrocchie si devono affannare, ma suggerire un atteggiamento diverso: “è una grande occasione per andare incontro all’umano, percorrere le vie dell’umano. E dà risposta anche a un fatto: che, nonostante tutto, tante famiglie, nelle nostre terre, chiedono ancora il battesimo per i loro figli”.
Proprio a rivitalizzare la riflessione sulla pedagogia cristiana sta per giungere a Milano l’urna pellegrinante di S. Giovanni Bosco (1815-88), il grande santo dell’educazione. Toccherà tutti i luoghi più importanti dell’arcidiocesi e radunerà attorno alle reliquie persone di tutte le età, accomunate da quello che l’ambrosiano don Luigi Giussani (1922-2005) chiamava “il rischio educativo”. Un rischio che è sempre necessario correre, perché scommette sulla riuscita di un uomo con i pregi ed i difetti della sua personalità irripetibile.
Michele Brambilla