La Quaresima del 2014 dona all’arcidiocesi ambrosiana un’importante novità liturgica. Con un decreto che entra in vigore giusto la I domenica di Quaresima (9 marzo), il card. Angelo Scola applica al Rito ambrosiano quanto stabilito da Papa Francesco il 1 maggio 2013 per il Rito romano, ovvero l’inserimento obbligatorio della commemorazione di S. Giuseppe, sposo della Beata Vergine Maria, all’interno della preghiera eucaristica o canone.
La preghiera eucaristica è, all’interno della Messa, quella preghiera tutta speciale in cui sono inserite le parole di consacrazione del pane e del vino, che per potenza di Spirito Santo diventano il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo (transustanziazione). L’introduzione del nome di S. Giuseppe in un luogo così solenne era un desiderio esplicito del beato Giovanni XXIII (Papa 1958-62), che prescrisse il cambiamento il 13 novembre 1962, nel momento in cui dava alle stampe l’ultima edizione del Missale Romanum tridentino.
Tuttavia, quando fu elaborato il Novus Ordo Missae, questa volontà di Giovanni XXIII fu inspiegabilmente ignorata e le edizioni del Messale Romano successive al 1970 presentano preghiere eucaristiche prive di riferimenti a S. Giuseppe. Nel frattempo, il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI (2007) ha reso maggiormente accessibile ai sacerdoti ed ai fedeli il Messale Romano del 1962, in cui si ricorda esplicitamente lo sposo di Maria. Ecco allora Papa Francesco, personalmente molto devoto a S. Giuseppe, porre rimedio ad una grave lacuna, restaurando un’usanza misteriosamente decaduta nel nuovo ordinamento della Messa.
Il Messale Ambrosiano del 1955 riportava la dizione tradizionale, che elenca in sequenza la Madonna, gli Apostoli ed i martiri. Tuttavia, su influsso dell’esempio romano, dopo il 1962 fu aggiunto il nome di S. Giuseppe nei versetti del Communicantes: “Communicantes et memoriam venerantes, in primis gloriosae semperque Virginis Mariae, Genitricis Dei et Domini nostri Jesu Christi, sed et (“ma anche”) beati Ioseph eiusdem Virginis Sponsi”. Questo non vuol dire che fu preparata una nuova edizione del messale: i parroci aggiunsero S. Giuseppe a matita sulla pagina del Canon Missae, come si nota sulla copia in possesso della parrocchia dello scrivente.
Nel 1976 arrivò il Messale Ambrosiano in italiano del card. Giovanni Colombo, che, in controtendenza rispetto al contemporaneo uso romano, nella preghiera eucaristica I (il vecchio canone unico) mantenne la dicitura “In comunione con tutta la Chiesa, ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo, san Giuseppe, suo sposo, i santi apostoli e martiri”. Tuttavia non la estese alle preghiere eucaristiche alternative, comprese le due autoctone (V e VI), che dalla Madonna passano direttamente a S. Ambrogio. Ora il card. Scola restituisce a S. Giuseppe il posto d’onore in tutte le opzioni.
Ritornare a commemorare S. Giuseppe nel canone della Messa non è solo un venire incontro alla crescente devozione popolare verso la Sacra Famiglia nella sua completezza, ma è un gesto di grande significato simbolico in un’epoca che nel 1968 ha abolito i padri. Il 3 marzo, insediando alcuni nuovi parroci, il card. Scola ha denunciato come uno dei mali più grandi del nostro tempo sia “la presunzione di poter superare la differenza sessuale, il tentativo di assimilare la famiglia ad altri tipi di unione, il modo di concepire l’educazione alla sessualità”. S. Giuseppe è padre forte ed umile. Accogliendo un Figlio non suo, simboleggia anche la paternità spirituale dei sacerdoti. Rappresenta esattamente ciò a cui il mondo liquido contemporaneo anela, ed allo stesso tempo teme: un’autorità definita. I ruoli in famiglia non sono interscambiabili: anche un Bambino molto speciale ha avuto bisogno sulla terra di un padre e di una madre.
Michele Brambilla