Mentre la giunta Maroni dibatte animatamente al suo interno sul mantenimento del fondo Nasko, dedicato alle donne che decidono di non abortire, il card. Angelo Scola benedice nella parrocchia cittadina di Ognissanti una nuova sede della Fondazione Vita Nova, a sostegno del “Progetto Gemma”. Il nome esteso di questa iniziativa è “adozione prenatale a distanza”: funziona come le adozioni dei bambini nelle missioni estere, ma in questo caso si tratta di nascituri le cui madri sono tentate dall’aborto a causa di motivi economici.
Il Progetto Gemma ha come data di nascita il 23 aprile 1977. Quel giorno il card. Giovanni Colombo riempì lo stadio di S. Siro di sostenitori della vita nascente. Accanto a lui Madre Teresa di Calcutta. Il raduno avvenne tra il disastro ambientale di Seveso (1976), sfruttato dai Radicali per ottenere le prime eccezioni al divieto di aborto, ed il dibattito parlamentare che avrebbe condotto, nell’infausto maggio 1978, al varo della legge 194. L’allora arcivescovo di Milano tuonò: “Parliamoci chiaro. Si vuole legalizzare l’aborto diretto e procurato. A nessuno il nome nasconda la detestabile realtà. Chi dice aborto, dice morte”.
37 anni dopo, il successore di Giovanni Colombo sulla cattedra ambrosiana ritorna sulla questione legislativa, con un forte appello alle coscienze dei politici. “Occorre che le leggi siano realmente rispettose della vita, adeguate e giuste, accettando, certo, la democrazia pattuita, ma offrendo testimonianze importanti delle nostre convinzioni di giustizia, come è appunto “Progetto Gemma”, decisivo per comunicare la realizzazione di una trama di rapporti costruiti intorno alle mamme e al bimbo che nasce. L’opera concreta deve sostenere i valori di cui si è convinti, perché se si rimane in astratto, specie in una società plurale e tendenzialmente molto conflittuale come la nostra, questi stessi valori sono sempre più difficilmente comprensibili e comunicabili”. Pluralismo non fa rima, secondo il card. Scola, con relativismo, bensì con dovere accresciuto di testimonianza cristiana.
Alcuni assessori e consiglieri della Lega Nord hanno proposto di riservare il fondo Nasko alle sole donne italiane, con poche eccezioni, delimitate dagli anni di residenza in Italia. La Lombardia rischia di vedere annullata o decurtata una delle migliori eredità dell’era Formigoni proprio da parte di un governo regionale, quello di Roberto Maroni, che si professa rispettoso della Chiesa e che è stato votato da un gran numero di cattolici allo scopo di preservare un modello decennale di declinazione dei valori “non negoziabili” (vita, famiglia, educazione, libertà religiosa) nella concretezza politica. La misura, concepita per intaccare la fecondità delle donne straniere, porta con sé, per sua stessa natura, un incremento della mentalità abortista ed eugenetica. Non esattamente una medaglia al valore per politici che, appunto, fanno pubblica professione di deferenza verso i valori cristiani e la legge naturale. Il richiamo dell’arcivescovo vuole quindi suscitare nei politici cattolici un soprassalto di coerenza.
Per la Chiesa gli embrioni non hanno colore e “la società tutta deve avere una visione della vita che la protegga dal concepimento al termine naturale”, pena la sua autodistruzione come civiltà. Qualsiasi colpo sferrato alla vita nascente si traduce in una diminuzione di umanità tra i vivi.
Michele Brambilla