Estratto dal letargo in cui era stato costretto per alcuni anni, il tema dell’immigrazione extraeuropea attraversa tutta la Settimana Santa, complice l’affannarsi sul fondo Nasko e su una possibile nuova grande moschea.
La domanda di una nuova moschea si ripropone ciclicamente all’uditorio ambrosiano, ma mai, come in questo caso, mentre si discute di misure demografiche. L’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, da sempre in dialogo con il mondo musulmano e critico nei confronti del controllo artificiale delle nascite, esprime molte più perplessità di quanto determinati giornali si aspetterebbero da lui. Avere un tempio in cui pregare è elemento basilare della libertà di culto, tuttavia il card. Scola sconsiglia l’edificazione della moschea se l’intenzione dei proponenti non fosse chiara, specialmente se le pressioni venissero dall’estero (si è parlato di Marocco e Giordania). La prima cosa da tutelare per l’arcivescovo è “la lunga tradizione cristiana della nostra terra e del nostro popolo”. Ricorda anche come i cristiani siano perseguitati o ridotti al lumicino in larga parte del mondo islamico.
La processione delle Palme è tradizionalmente curata dalla cappellania dei migranti. E’ il momento giusto per ribadire come gli immigrati cattolici siano ormai componente costitutiva delle comunità locali, “e ne stanno costruendo il futuro e la nuova fisionomia”. Il problema dell’immigrazione si presenta quindi molto variegato, ma il modo giusto per affrontarlo, anche in una società plurale, è creare unità attorno alla Croce. “La vittoria del Crocifisso genera in noi solidarietà, condivisione del bisogno di quanti sono nella prova fisica e morale”. Questa unità visibile dei credenti è ben visibile in Duomo il Giovedì Santo, quando per la lavanda dei piedi si siedono sui gradini del presbiterio 12 catecumeni, sia italiani che stranieri, accomunati dal desiderio di ricevere Cristo.
Il mistero pasquale è origine di tutto il moto missionario della Chiesa. Tanti popoli un tempo lontani oggi sono alle nostre porte, ma non per questo l’arcidiocesi ambrosiana cessa di essere fucina di vocazioni ad gentes. Il card. Scola vuole accanto a sé, nella Messa crismale, in cui tradizionalmente si riunisce tutto il clero di Milano, il vescovo eletto della diocesi di Monze (Zambia), mons. Moses Hamungole. Testimonia il frutto del seme gettato ormai oltre 50 anni fa (1957) dai primi fidei donum diocesani che raggiunsero l’Africa su richiesta di Pio XII. Ammonisce l’arcivescovo: “I giorni del Triduo pasquale non sono una parentesi spirituale in mezzo alla complessità della società plurale in cui la Provvidenza ci chiama a vivere. Sono giorni di rinascita: rinascere per vivere e consegnare sempre di più la vita per bene del mondo”.
Il Sacro Triduo cade proprio alla vigilia della Professio Fidei in piazza Duomo. Nelle parrocchie moltissimi sacerdoti richiamano nelle omelie l’appuntamento dell’8 maggio. L’arcidiocesi di Milano s’incolonna dietro il Santo Chiodo contemplando la Pasqua, cuore pulsante della fede cristiana. Non a caso il card. Scola sceglie di utilizzare per il bacio al Crocifisso della liturgia del Venerdì Santo proprio la preziosa custodia bronzea della reliquia. Una volta proclamata la Risurrezione del Signore, essa diventa il vessillo del Re trionfante. Un “Aragorn” che come nei romanzi di Tolkien vuole demolire le torri degli idoli da cui molti milanesi sono precipitati.
Michele Brambilla