Domenica 22 giugno ad accogliere l’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, in visita pastorale a Morimondo, é il tipico paesaggio lombardo: un piccolo borgo stretto attorno ad un campanile in cotto, tra campi divisi regolarmente da rogge e stradine in acciottolato. E’ il cuore della Bassa milanese, che deve la sua conformazione all’opera dei monaci cistercensi del XII secolo.
Fu nel 1134 che a Morimondo si insediò la prima comunità monastica, composta da 13 cistercensi. Morimondo significa “Mori mundo”, “muori al mondo” per seguire il Signore. Il primato di Dio ed il desiderio di imitare perfettamente Cristo sono ciò che raccoglie tutt’ora la comunità parrocchiale attorno alla mensa eucaristica, come sottolinea lo stesso card. Scola: “Lasciando le nostre case e convenendo nel tempio la domenica e non soltanto, noi diventiamo le pietre vive che realizzano la Chiesa: la Chiesa infatti prima di essere un tempio è la con-vocazione da parte di Cristo di tutti coloro che per il Battesimo e per la fede sono diventati suoi, cristiani: Agostino diceva “altri Cristo””.
La soppressione dell’abbazia nel 1796 ad opera di Napoleone non è riuscita a spegnere questa radicata vita di Fede: il card. Scola rammenta la presenza in loco, come medico condotto, di S. Riccardo Pampuri (1897-1930), che conquistò gli animi degli abitanti mettendosi a loro totale servizio. Si festeggia anche il 5° centenario della lacrimazione miracolosa di un’icona mariana nella chiesetta di S. Giorgio in Fallavecchia (1512-14).
L’arcivescovo constata come la parrocchia facente capo all’edificio abbaziale, gestito per quanto riguarda gli oneri parrocchiali da un prete diocesano, non si sia seduta sugli allori del passato, ma continui a promuovere attivamente cultura e civiltà cristiane. “Noi non facciamo memoria (…) in maniera nostalgica. Certo, è un motivo di orgoglio abitare queste terre civilizzate dal monachesimo, ma il motivo per cui festeggiamo è il presente”. Ammira con gioia il gran numero di chierichetti, che nei giorni feriali stanno partecipando anche loro, nel cortile vicino, all’oratorio estivo.
Morimondo è la terza abbazia che il card. Scola visita nel territorio diocesano in questo 2014. Già a maggio si sono succeduti gli incontri con la comunità dei Memores Domini presenti alla Cascinazza, sempre nelle campagne a sud di Milano, e con i Premonstratensi che, a partire dal 2013, stanno rivitalizzando l’abbazia di Mirasole (XIII sec.). La presenza monastica nella vivacissima arcidiocesi ambrosiana vede intrecciarsi antico e nuovo, nella comune missione di testimoniare ad una metropoli caotica ed indaffaratissima il primato dello Spirito.
Il card. Scola prende spunto dalla seconda lettura (Romani 1, 22-25.28-32) della II domenica dopo Pentecoste, in cui S. Paolo elenca i prodotti del peccato (e cita anche l’omosessualità: “Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i loro corpi”) per ammonire che “essere cristiani implica un progressivo coinvolgimento della nostra persona tesa a convertirsi. (…) In ogni momento io devo giocarmi con questo dono, che è la Fede, che mi rende immagine di Dio”. Da qui l’usuale richiamo ad una testimonianza limpida, anche in campo civile, dei valori cattolici. Come affermato già l’8 giugno in una intervista rilasciata ad Avvenire, “i cristiani, illuminati dalla dottrina sociale, possono e devono fare molto di più” nell’agone pubblico per difendere i valori in cui credono, che combaciano con quelli della legge naturale. Riguardo all’ideologia gender, il card. Scola denunciava ad inizio mese un “clima androgino” pervasivo, che non può lasciare indifferenti quanti hanno compiti educativi. Non è uno scoglio semplice da aggirare e si ha già il sentore che determinate opinioni, espresse secondo la dottrina della Chiesa, verranno sempre meno tollerate. Tuttavia, “nel concreto della nostra esistenza, uscendo oggi da questa splendida basilica, dobbiamo portarci dietro la convinzione che il cristiano deve arrivare fino al punto di amare i nemici e di pregare per i suoi persecutori, come fanno i martiri, come fanno i santi”.
Michele Brambilla