Neppure l’alluvione di poche settimane fa è riuscita ad affondare la Cascina Molino Torrette, altrimenti conosciuta come sede della comunità Exodus di don Antonio Mazzi. Certo, è stata evacuata due volte, ma in poco tempo il luogo è stato ripulito e rimesso a pieno regime.
Nel 2014 Exodus compie 30 anni esatti. Su Avvenire di domenica 7 dicembre don Mazzi scrive una breve introduzione. “Non volevo fare una comunità di recupero. Sono sempre stato convinto che chi assume droga non sia un malato, ma una persona che soffre di un disagio interiore. Il metodo dell’oratorio”, che è quello adottato da Exodus, “è prendersi cura di chi soffre con l’amicizia, la musica, lo sport, il teatro, l’avventura ed il lavoro”. Racconta anche i difficili inizi: “andavo nel parco, aiutavo, assistevo, davo da mangiare. Intorno a me gente che urlava, qualcuno moriva, altri ti puntavano il coltello alla gola. Il 25 marzo 1984, con alcuni educatori, siamo partiti su quattro camper e abbiamo girato l’Italia per nove mesi, fino al 25 dicembre. Poi abbiamo preso una cascina al parco Lambro, l’abbiamo ristrutturata e da lì è nata Exodus”, realtà che conta ora 40 case affiliate.
Lo sviluppo della comunità è stata aiutata anche dalla capacità di don Mazzi, figlio spirituale di don Giovanni Calabria (1873-1954) come don Luigi Verzè (1920-2011), il fondatore del vicino ospedale S. Raffaele, di costruirsi anche un personaggio mediatico. Un personaggio, alla pari del confratello sopra richiamato, assai vivace e a tratti molto border-line, come quando disse di aver “fregato la Chiesa” dando la Comunione ad un bambino non in età. Un’altra pagina “nera” del don Mazzi televisivo è stata la telecronaca dell’arrivo di Benedetto XVI a Milano, il 1 giugno 2012: in diretta esclamò, mentre la papa-mobile compiva il giro di piazza Duomo, che “questo Papa e questo arcivescovo (Scola) non mi rappresentano”.
Proprio il card. Angelo Scola è accolto al parco Lambro nel pomeriggio dell’11 dicembre 2014. Sembrano passati litri di acque sotto i ponti, e non è solo per l’alluvione. Don Mazzi parla della famiglia con toni molto da “valori non negoziabili” (“Viviamo in una società sempre più disorientata e le prime ferite e i primi dolori si ripercuotono sulle famiglie. A rimetterci sono i più giovani, ma il problema non sono loro. Sono gli adulti disorientati. (…) Io continuo a ripetere da tempo che sono spariti i padri”) ed accoglie con sincera gioia l’arcivescovo. Il quale anche lui si scusa: “Non conoscevo l’intuizione originaria di don Antonio. Pur seguendo le sue apparizioni in tv e leggendo i suoi articoli sui giornali ritenevo che Exodus fosse una comunità terapeutica come le altre. Invece, grazie all’invito che mi avete fatto ho potuto scoprire il vostro modo di operare, che considero davvero geniale” perché “l’espressione che, più volte, ho sentito da voi citata e che più mi ha colpito è stata voglia di vivere. Se c’è un male che affligge il nostro mondo occidentale è quello della povertà spirituale fatta di tristezza, malinconia, depressione e dalla voglia di fuga verso forme che poi diventano disagio”.
La Chiesa non abbandona i poveri, i malati, gli afflitti ed i perseguitati. “Se don Antonio è qui, con i suoi 85 anni, ancora con questa apertura di mente e di cuore è perché ha una ragione di vita che lo fa ripartire ogni mattina”, ed è Cristo. L’apostolato dei “preti di strada” ha più affinità con quello del vituperato “alto clero” di quanto spesso i primi immaginino. Senza vescovi non vi è neppure sacerdozio.
L’immagine simbolo della festa è la preghiera, recitata mano nella mano, dal card. Scola con don Mazzi, i ragazzi e gli educatori nella semplice cappella della cascina. Forse non sarà stato il massimo dell’ortodossia liturgica, ma sicuramente è visibile in quel cerchio il segno di una riconciliazione umana ed ecclesiale, che aspettava giusto un dialogo vis-à-vis per esplicitarsi. xodus.jpg