“Ogni giorno la cronaca ci sconcerta per l’orrore di cui gli uomini sono capaci. Come si può dire che il tempo della pienezza è giunto, se le contraddizioni in cui versa l’umanità sono così acute, così terribili, così tragiche? E non solo nel Medio Oriente e Africa, ma talora anche qui tra noi,tra le nostre case, nella nostra Europa?”.
E’ la domanda che l’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, si pone il mattino di Natale, durante la grande Messa delle 11.00 in Duomo.
In effetti sono davvero tanti i drammi che dentro e fuori Italia appesantiscono il Natale 2014. Eppure Isaia canta, in quella liturgia, “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”. C’è un ottimismo, nella festa del Natale, che sembra palesemente fare a pugni con la situazione odierna del mondo. La Lettera ai Galati parla di “pienezza del tempo”. Erano le condizioni dell’epoca in cui venne Gesù, che, a ben vedere, non presentava neppure lei caratteristiche particolarmente esaltanti.
“Cos’è allora questa pienezza del tempo? Essa è Gesù Cristo in persona che instaura con noi un rapporto di comunione e così apre alla libertà degli uomini il cammino del compimento”.
Non è quindi un momento preciso della Storia, ma Colui che ha deciso di abitarla per redimerla alla radice.
“La Nascita di Gesù inaugura la possibilità di un autentico umanesimo, sempre aperto alla novità che la storia propone, comunque si presenti. Siamo figli di un Dio incarnato che si è giocato con la storia e non mette in ombra la libertà dell’uomo mentre ha vinto la libertà del Maligno, la cui sconfitta sarà alla fine a tutti manifesta. Dio mette l’uomo al centro e gli rende possibile un cammino ragionevole, lo rende homo viator che conosce l’inizio e la meta del suo andare. Ce lo ha ricordato il Concilio con un’affermazione che mantiene pregnante attualità: «Con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo» (Gaudium et spes 22). Egli è la via alla verità e alla vita”.
Con questo spirito la Chiesa affronta ogni secolo nelle sue gioie e nei suoi dolori, continuando a predicare la medesima Parola.
Il Natale non è quindi solo tavolate e tombole familiari, ma anche un impegno a farlo fruttificare nella vita personale e sociale. Nello spronare alla missione il card. Scola riecheggia nella semantica la Professio Fidei della primavera scorsa:
“Sorretti dalla gioia di questa nascita che salva domandiamo la grazia di essere testimoni del Signore come lo furono gli angeli, i pastori e i magi. Essi andarono a vedere quell’«avvenimento» (Lc 2,15). Mettiamoci in moto come loro, già da ora”.
Come l’8 maggio, per vedere il Signore non bisogna vagare nell’iperuranio: i presenti lo stanno già incontrando “nell’arcano mistero dell’Eucaristia”, che è realmente Cristo in corpo, anima e divinità, come dicevano i vecchi catechismi. Ogni Messa è visione e missione, ed è pure un evento quotidiano.
Michela Brambilla