Brugherio e la parrocchia milanese di S. Eustorgio, le realtà ambrosiane più legate alle reliquie dei Magi, solennizzano l’Epifania invitando due personalità di spicco della Chiesa contemporanea, mons. Marcello Semeraro ed il card. Philippe Barbarin.
Il card. Barbarin, arcivescovo di Lione, è reduce dai campi profughi del Medio Oriente, dove ha visitato personalmente i cristiani iracheni e siriani. Ha confrontato le luci scintillanti della sua Francia, che abolisce i presepi pubblici, con le statuine conservate con amore sotto una tenda nel deserto. La presenza di mons. Semeraro, vescovo di Albano Laziale, segretario del gruppo di cardinali convocato dal Papa per aiutarlo nella riforma della Curia romana, acquista un particolare rilievo perché gli viene affidata dall’oratorio di Brugherio una conferenza significativa, intitolata Papa Francesco: una Chiesa in uscita.
Sfuggendo ai luoghi comuni e perfino alla mitologia (perché tale è l’attribuzione, da parte di un ascoltatore in sala, dell’elezione di Bergoglio alle preghiere “profetiche” del card. Carlo Maria Martini), mons. Semeraro riporta Francesco alle sue genuine radici culturali/spirituali, ovvero gli Esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola. Il Papa non vuole rivoluzionare alcunché, ma semplicemente “andare in cerca” di coloro che non vengono mai intercettati dalle iniziative ordinarie. Vaglia “ignazianamente” la contemporaneità cercando di ricavarne tutto il bene possibile. Il compito di “uscire”, secondo Semeraro, spetta in particolare ai cattolici “impegnati”, ovvero a quella percentuale di operatori pastorali spesso compiaciuti delle proprie prerogative e delle iniziative in cui si specchiano.
L’operazione verità è tanto più necessaria quando nella stessa Chiesa si nota un notevole livello di penetrazione degli schemi mediatici, sia sul Papa che sul dovere di annunciare a tutti il Vangelo. La vera profezia del cattolico sta nella professione integrale della Fede, senza sconti dottrinali.
E’ questo il pensiero che, mentre il card. Barbarin celebra a S. Eustorgio, il nostro arcivescovo Angelo Scola esprime dal pulpito del Duomo. Forse influenzato dalle recenti polemiche tra Vittorio Messori e Leonardo Boff (ex-esponente della Teologia della Liberazione, già condannato dalla Congregazione per la dottrina e la fede, oggi uscito dalla Chiesa stessa), o dagli strali gay contro il convegno in Regione preparato anche da Alleanza Cattolica, tuona:
“La solennità di oggi si presta a un’importante precisazione che può aiutare i cristiani ad assumere in pieno il compito di testimoni, anche all’interno delle società plurali che caratterizzano soprattutto i Paesi nord occidentali. (…) Se Cristo è venuto per tutti, è logico che i suoi seguaci testimonino (…) una concezione di sé e della propria azione che ritengono valida per tutti gli uomini”.
E chi impone loro di tacere in nome della laicità, in realtà svilisce la laicità stessa.
“Infatti, i soggetti personali e sociali che si autocensurano, o vengono impediti di formulare il loro punto di vista, privano tutta la società della necessaria ricerca, attraverso un appassionato confronto teso al reciproco riconoscimento, della vita buona per tutti”.
La differenza tra “cristiani tradizionalisti e i cosiddetti innovatori” si gioca proprio sul diverso approccio che la Chiesa dovrebbe tenere nei confronti della società.
L’arcivescovo la individua con una precisione rara.
“Questa contrapposizione (interna al mondo cattolico ndr), spesso esagerata ad arte dai mass media, dipende, alla fine, proprio dall’incapacità di tenere insieme (…) la natura universale dell’evento di Gesù Cristo e (…) la libertà invalicabile dei soggetti, personali e sociali, che abitano la società plurale”.
Il problema dei progressisti è sostanzialmente non riconoscere più l’originalità e l’autonomia del pensiero cattolico rispetto alle ideologie mondane, pertanto si lasciano influenzare dalle tesi laiciste. L’autocensura tra i tradizionalisti deriva, invece, da una tendenza al rinchiudersi in un “fortino dorato”, contrapponendosi anche agli altri cattolici potenzialmente concordi sui valori di fondo. In entrambi i casi ciò che va perso è proprio il carattere universale dell’annuncio cristiano, che, come ricorda l’arcivescovo, viene proposto alla libertà degli ascoltatori senza nessuna costrizione.
Michele Brambilla