10 anni fa la Chiesa tutta s’inchinava davanti al feretro di mons. Luigi Giussani (1922-2005), fondatore di uno dei movimenti cattolici più imponenti della contemporaneità quanto a numeri, realizzazioni e vocazioni. La bara, ricoperta della casula color bianco, i paramenti del giorno di Pasqua, attraversò la navata del Duomo di Milano, ripercorrendo il cammino che don Luigi seguì la mattina del 26 maggio 1945, il giorno dell’ordinazione sacerdotale, in quella stessa cattedrale. Una folla strabocchevole, che andava ben oltre il sagrato, assisteva così al momento in cui la comunità diocesana (ma a presiedere il rito c’era il card. Joseph Ratzinger, divenuto poche settimane dopo Benedetto XVI) adagiava nella terra un suo figlio illustre, che amava dire di sé:
“Sono un semplice sacerdote della diocesi di Milano”.
Proprio l’ambrosianitas di don Giussani riaffiora sulle labbra del card. Angelo Scola, che nel 2005 aveva concelebrato anche lui i funerali ed oggi è successore di quel card. Alfredo I. Schuster che impose le mani sul capo del diacono Luigi.
“Ora, non dimentichiamo che il carisma di don Giussani, cattolico, cioè universale, è un carisma fortemente ambrosiano”.
Ambrosiano perché nasce da una mente ambrosiana, orgogliosa della sua cultura nativa, e perché vi è impresso il meglio della tradizione milanese: la fedeltà al Magistero, la valorizzazione dei talenti umani di ciascuno, l’educazione ad una dottrina cattolica solida, che investe ogni aspetto della vita.
In un momento in cui i giornali laici ricordano don Giussani cercando di distinguerlo forzatamente da quel “popolo” (così lo chiama esplicitamente l’arcivescovo) che lo ha amato, il card. Scola ammonisce che l’arcidiocesi non può fare a meno dell’apostolato di una così vasta porzione di ambrosiani “a tutti gli effetti”.
“La Chiesa ambrosiana, come ben sapete, è intenta a proporre Gesù Cristo come Evangelo dell’umano agli uomini e alle donne di questo travagliato inizio di millennio. I cristiani, sostenuti dalla presenza misericordiosa del Risorto, intendono farsi carico, al di là del loro limite e per quanto possibile, del bene di tutti. Di questo ha bisogno la Chiesa ed ha bisogno il mondo. L’arcivescovo umilmente vi ricorda che approfondire personalmente e comunitariamente il carisma richiede di lavorare nella vigna in cui il Padre ci ha piantati attuando il metodo della comunione ecclesiale: pluriformità nell’unità. Coi cristiani, e non solo, delle zone pastorali, dei decanati, delle comunità pastorali, delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti, la comune missione domanda a tutti i fedeli della amata diocesi di Ambrogio e di Carlo di percorrere le vie dell’umano”.
Il “si” dell’assemblea alla proposta risuona nella preghiera dei fedeli, in cui la corresponsabilità nei confronti dell’arcidiocesi di Milano è considerata cosa fatta ed invocata come grazia. Ritorna, nell’omelia, anche un pensoso riferimento al “martirio del sangue”, che “Dio non voglia, (potrebbe diventare) una possibilità (per) i cristiani d’Europa”. L’arcivescovo ne aveva accennato con preoccupazione durante la visita del card. John Onaiykan.
La cronaca di queste settimane, con l’ISIS in Libia e la crescente insicurezza nella UE, purtroppo obbliga a parlarne con una serietà sconosciuta fino a pochi mesi fa. La Quaresima ci è data per conformarci sempre di più al modello delle Beatitudini, il brano di Vangelo di quella liturgia, che è poi quello stesso di Cristo.
Michele Brambilla