“Siete tutti invitati”: la sera del 18 maggio il card. Angelo Scola invita tutta la cittadinanza in piazza Duomo ad assistere ad uno spettacolo incentrato su cosa voglia dire per la Chiesa “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, lo slogan di EXPO. La serata è organizzata per accogliere ufficialmente in città 174 delegati di Caritas internationalis, l’organismo ecclesiale che presiede alle Caritas nazionali e che tanta parte ha nella gestione del padiglione del Vaticano a Rho. Sono presenti a Milano anche i cardinali Oscar Rodriguez Maradiaga, presidente uscente di Caritas, e Luis Antonio Tagle, che gli subentra: entrambi concelebrano con il card. Scola in S. Ambrogio alle 18.00 di quello stesso giorno.
L’arcivescovo ambrosiano riporta il discorso della carità e della nutrizione dei poveri alla sua radice biblica, anzi sacramentale: il credente impara ad amare il prossimo dall’esempio del suo stesso Redentore, che per amore degli uomini ha offerto la sua vita sulla croce. Giacomo Poretti rievoca le pagine della Genesi, con il baratto della primogenitura tra Esaù e Giacobbe, i nipoti di Abramo. La Storia cominciata stentatamente con i Patriarchi ha avuto un compimento, Gesù, che nel SS. Sacramento rimane in mezzo a noi come cibo di salvezza, che gli angeli ci invidiano.
Davanti a Lui si può solo imparare, pertanto, prima di proferire verbo, il card. Scola fa aprire il portale centrale del Duomo e si inginocchia sul sagrato di fronte all’altare maggiore. Anche i 50.000 presenti si volgono all’istante al Tabernacolo del Tibaldi, in un silenzio irreale di massa che chi ha partecipato alle adorazioni eucaristiche delle Gmg conosce bene.
L’intervento dell’arcivescovo è anch’esso preghiera. Una preghiera antiutopica, anti-ideologica, quasi teologia (si riconosceranno immediatamente un’eco agostiniana ed un richiamo al “Solo Dios basta” di S. Teresa d’Avila) espressa in versi che coinvolge nell’intercessione la Madunina.
“Dai giorni della Tua Risurrezione fino ai nostri non fai mancare al Tuo popolo il cibo che non perisce. Come quella sera nel Cenacolo da duemila anni, senza interruzione, continui ad offrirti ai tuoi fratelli. Tu, carità del Padre, trasforma il nostro cuore a immagine del Tuo.(…) Ci hai fatti per te, Signore. Solo Tu conosci fino in fondo la nostra fame. (…) Non permettere che venga messa a tacere, ingannata o soffocata questa fame. (…) A volte pensiamo che bastino l’indagine e la conoscenza, ci affidiamo alla scienza come i nostri padri al vitello d’oro. Ci lasciamo conquistare dalle profezie di un mondo nuovo, “sognando sistemi talmente perfetti che nessuno avrebbe più bisogno di essere buono”. Signore, Tu, oggi come ieri, con l’Eucaristia, offerta della Tua vita, ripeti anche a noi: “Dategli voi stessi da mangiare”. Noi crediamo in Te, speriamo in Te, Te adoriamo. Fa’ scendere su di noi la Tua benedizione. Accresci in noi la fede, la speranza e la carità. O Madonnina, che tenera vegli su ciascuno di noi, insegnaci a fare tutto quello che Tuo Figlio ci dirà. Amen”.
Solo con questo atteggiamento l’operatore pastorale schiverà il rischio di inciampare nel pauperismo, che è la corruzione ideologica della vera povertà e della carità. Coloro che si chinano “di mestiere” verso il povero sono i più esposti all’illusione di ricercare una soluzione immediata e drastica a tutti i mali del mondo, quasi non fidandosi dei tempi della Provvidenza. Comprenderà inoltre perché S. Francesco d’Assisi, sulla cui povertà personale non esistono
dubbi, pretendeva che i paramenti sacerdotali venissero ricamati con filo d’oro. Il culto non deve essere obbligatoriamente sciatto per piacere a Dio. Ben vengano, quindi, ostensori ed incenso.
Michele Brambilla