Tra le 17.00 di venerdì 4 marzo e le 17.00 di sabato 5 tutto il mondo cattolico è impegnato nell’iniziativa 24h per il Signore, una maratona di adorazione eucaristica, con possibilità di confessarsi, che coinvolge tante parrocchie. Il card. Angelo Scola colloca proprio in questa cornice la “Via misericordiae”, ovvero una Via Crucis speciale, dalla basilica di S. Ambrogio al carcere di S. Vittore, che dista pochi metri dal tempio in cui riposano le spoglie del patrono di Milano. I detenuti, pur non potendo uscire di prigione per l’occasione, donano al rito le loro intenzioni di preghiera, lette pubblicamente.
L’arcivescovo è conscio del disprezzo che la contemporaneità, indulgente con i peccati e sadica con i peccatori, riserva ai carcerati. Fin dai tempi di Tangentopoli, chi riceve anche solo un avviso di garanzia è svilito su ogni pagina, come se fosse sicuramente colpevole. Ogni Giubileo (e questo in particolare) porta però con sé l’antico discorso sulla clemenza divina, significata un tempo da provvedimenti concreti per il riscatto sociale dei detenuti. Il credente parte dal presupposto che di fronte a Dio nessuno può ritenersi immacolato. “Riconoscere il nostro peccato aiuta a costruire responsabilità e fa crescere”. Chi presume di non avere peccati si estranea dagli altri uomini e comincia a pensare di poter imporre loro la sua personale idea di giustizia e di società. E’ quello che sta accadendo con l’ideologia gender.
Il card. Scola dice parole potenti già durante la Via Crucis del martedì, anticipando l’incontro con i fidanzati cattolici che avrà nel pomeriggio di sabato. Smonta infatti molti luoghi comuni e stigmatizza il divorzio della stampa dalla realtà, più evidente in questa materia che nella cronaca giudiziaria.
“Cosa c’è di più femminile della capacità di svettare sul maschio in compassione? Guai se la donna perde questa capacità di “patire-con”, che piaccia o no alla mentalità dominante. È questo lo sguardo attraverso cui la donna consistente e matura spacca ogni seduzione, libera l’uomo dalla sua fragilità e, se è sposa, porta figli, realizzando quell’inizio di società (…) che può apparire disprezzato a prima vista, ma che non lo è perché l’opinione dei mass media non è quella del popolo”.
Non c’è telegiornale che non si apra con un processo giornalistico che anticipa quello della magistratura, o con un servizio gay-friendly sulle “nuove famiglie”. Chi si ritrova in carcere per qualsiasi motivo o aspira ancora a formare un nucleo familiare secondo la legge naturale è meno considerato dei panda. Tuttavia, il card. Scola è proprio su questi soggetti, definibili “i paria del XXI sec.”, che punta per tenere desto il senso critico dei fedeli di fronte ad una cultura post-moderna sempre più “di plastica”.
Egli auspica che la processione del 4 marzo sotto le mura di S. Vittore diventi per Milano un gesto “stabile e potente”, un periodico ammonimento sulla fragilità dell’uomo, ed avverte i fidanzati che “il per sempre” della promessa matrimoniale “non è un’aggiunta all’amore” naturale, “ma è la sua sostanza”. Usa la metafora del vestito per spiegare che le vicende umane e l’ordinamento della natura hanno il medesimo Autore.
“La realtà di tutti i giorni è un tessuto con una trama di circostanze e di rapporti il cui ordito è preparato dalla Provvidenza, perché Dio ci parla e ci chiama attraverso questa trama. La vita è vocazione e il matrimonio è l’espressione veramente più comune e potente di cosa sia l’amore”.
A parte il caso particolare del sacerdozio sacramentale, non ne esistono altre né in cielo, né in terra. Le difficoltà dei matrimoni contemporanei non sono un valido motivo per abolire l’istituto tout-court, ma ricordano soltanto la necessità che il rapporto lasci parlare “il “Tu” con la maiuscola”.
Michele Brambilla