Durante il mese di maggio, in molte località, diversi fedeli si ritrovano alla sera ai crocicchi delle strade, nei condomini, nei cortili per recitare assieme la corona del S. Rosario. Molte parrocchie hanno nel tempo “istituzionalizzato” questi momenti facendo preparare le meditazioni ad associazioni e movimenti, o garantendo la presenza del sacerdote.
Il card. Angelo Scola si reca ad uno di questi appuntamenti, ma lo fa in un luogo toccato dalla tragedia. Muggiano non è infatti solo un’anonima periferia della periferia milanese, ma la comunità di cui, fino al Giovedì Santo, era responsabile il decano di Baggio, deposto e sospeso a divinis con l’accusa di prostituzione minorile. L’arcivescovo vuole dare un segno di vicinanza pastorale ed umana, consapevole che solo l’unità dei cristiani ed una nuova fioritura di bene possono oscurare i danni di una contro-testimonianza.
I sacerdoti vivono oggi in un contesto molto difficile, in cui subiscono la duplice pressione della “dittatura del relativismo” (Benedetto XVI), dominante nei media ed influente nel gregge, spesso privo o privato di strumenti di discernimento, e di quanti seminano continuamente zizzania nella Chiesa, pensando magari di difendere la purezza della Fede.
A questo clero (per la prima volta partecipano alla Festa dei Fiori anche i sacerdoti degli ordini religiosi presenti in diocesi, guidati dal loro vicario mons. Paolo Martinelli, per sottolineare l’unitarietà del presbiterio ambrosiano), spesso scoraggiato, si rivolge il card. Scola durante la tradizionale Festa dei Fiori nel Seminario arcivescovile.
“Mi rivolgo in particolare agli alunni del Seminario, in particolare ai cosiddetti “fiori”. (…) Sappiano dare esempio di quell’unità tramite la quale gli uomini vengono attratti a Cristo”. Bisogna assumere un “atteggiamento di confessione, che è manifestarsi sempre per quello che si è, e non trattenere nulla per sé. (…) In questo frangente di travaglio si fa sempre più chiaro che la pace non è in proporzione alla mia riuscita, alla mia misura, neppure all’assenza di dolore e, se domando perdono, neppure di peccato. Si può assumere un ministero così rilevante solo se prima, nel nostro cuore, abbiamo deciso che la nostra vita è già data”.
E’ una citazione del priore di Tibhirine, la comunità trappista massacrata nel 1996 dagli integralisti islamici in Algeria. Senza arrivare necessariamente al sangue, il ministero pastorale è un “martirio”, ovvero, etimologicamente, una testimonianza che implica l’esistenza.
Pochi sanno che la presentazione dei candidati al sacerdozio a Venegono Inferiore è sempre stata volutamente legata alla festa della Madonna di Fatima (13 maggio), il cui messaggio è prettamente sociale. Gli arcivescovi di Milano, fin dal beato card. Schuster, spronano i preti novelli ad un ministero che sappia indicare la globalità della proposta cristiana. Lo fa anche il card. Gianfranco Ravasi, nativo di Milano ed invitato a Venegono per festeggiare il suo 50° di sacerdozio:
“Conservate uno sguardo verso il mondo ed uno verso l’Alto” senza mai separarli, secondo la migliore tradizione ambrosiana.
La devozione alla Madonna di Fatima, fino a qualche decennio fa languente nel Milanese, sta progressivamente crescendo grazie al ruolo giocato da centri di diffusione come la parrocchia milanese di S. Giuseppe della Pace, sede italiana dell’Apostolato mondiale di Fatima, ed il monastero di Bisentrate, gestito dalla Famiglia del Cuore Immacolato di Maria. Contribuisce anche la riscoperta, da parte di molti ambienti diocesani, della dottrina sociale della Chiesa nella sua oggettività. Il 13 maggio è lo stesso arcivescovo a presiedere una processione in onore della Madonna per le strade di Milano.
Michele Brambilla