E’ il card. Angelo Scola, che non ha mai rinnegato il suo essere figlio spirituale di don Giussani, a presiedere la celebrazione eucaristica del pellegrinaggio regionale lombardo di Comunione e Liberazione, in quel di Caravaggio. Il santuario di S. Maria del Fonte, con la sua grande cupola, è per tutti i partecipanti un immergersi nelle origini del movimento e nella conosciuta devozione mariana del fondatore.
Quale sia il carisma delle origini e che interpretazione darne nell’oggi, alla luce del magistero di Papa Francesco, rappresenta per la CL del 2016 un nodo molto delicato. Molti nel movimento temono che insistere sulla misericordia e l’accoglienza delle periferie esistenziali preluda ad una “mutazione genetica” che condurrebbe a rinunciare ad una presenza socio-politica rocciosa e determinata, o a favorire il lassismo e l’accondiscendenza in morale.
La dottrina sulla misericordia è, invece, qualcosa che tocca le radici dell’esperienza umana.
“Più passa il tempo, più siamo consapevoli della profondità delle radici del male nella nostra esistenza e in quella della famiglia umana. Un male che il nostro tempo esibisce con tanta crudeltà, come si vede nelle stragi di bambini per la guerra in questi giorni”. Ed è proprio questa situazione, secondo il card. Scola, a rendere la misericordia divina l’unica vera medicina per il nostro tempo. “La Sua misericordia supera non solo il nostro timore e il nostro scetticismo, ma addirittura il nostro desiderio, esaltandolo fino alla sua vera statura. La misericordia di Dio, infatti, riscatta il nostro desiderio, lo redime, gli permette di essere finalmente se stesso e, nello stesso tempo, ce lo fa riconoscere in ogni uomo e ogni donna, abbattendo così ogni barriera e divisione”.
La misericordia rappresenta la quintessenza del messaggio di Cristo, è un dono celeste che diventa l’autentico collante della comunità cristiana.
“Tanto più quando ci si trovasse in una situazione di incomprensione reciproca, cosa che ricorre con una certa normalità nelle umane vicende, le parole dell’Apostolo Paolo a Timoteo – “ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato” – descrivono il contenuto della responsabilità di ciascun membro del Movimento”.
Si può quindi riaprire anche il discorso missionario. E’ inutile combattersi tra cattolici, spesso pretestuosamente, quando c’è un intero continente da ri-evangelizzare.
“Testimone è il nome del cristiano, descrive la sua esperienza di conoscenza della realtà e di comunicazione della verità. Infatti, senza conoscenza della realtà e comunicazione della verità non c’è propriamente testimonianza. Ravvivare e custodire il dono ricevuto è, quindi, lasciarsi possedere dalla Verità che è Gesù, secondo la forma con la quale è stata ricevuta, senza difese, senza pretese, senza pensare di essere arrivati”.
In un momento di oggettivo travaglio per la leadership del movimento, i pastori che sono sorti dall’esperienza ciellina si propongono spesso come fattore che richiama all’essenziale e, soprattutto, all’unità. Da parte sua il card. Scola invita i presenti a confrontasi con la lettera del magistero autentico della Chiesa, come ha sempre fatto don Giussani, per ricavare da esso i parametri con cui affrontare la realtà contemporanea. Risalendo dall’interpretazione autorevole alla fonte scritta emergerà chiaramente la profonda continuità con il passato.
Michele Brambilla