Ogni tanto la Provvidenza ama giocare con le date, o colora un singolo giorno con le tinte di un potente affresco catechetico, affinché tutti si ricordino che, sulla Terra, prosegue l’eterna lotta tra la Donna e il serpente. E’ quello che accade in piazza Duomo a Milano in un piovoso sabato di ottobre, quando si alternano nel medesimo luogo il funerale laico di un rivoluzionario a tutto tondo ed il meeting diocesano dei chierichetti ambrosiani.
Quello del funerale di Dario Fo è stato un vero e proprio blitz. Parenti e seguaci del guitto, destinato dal sindaco Sala al Famedio, hanno portato la bara del comico, che nelle sue opere ha sempre dileggiato la Chiesa, fin sotto i portali della cattedrale. Difficile non vedervi un atteggiamento di sfida. La Curia arcivescovile, preoccupata dei toni che il funerale avrebbe potuto assumere, aveva infatti chiesto al sindaco che il rito si svolgesse e si contenesse nella mattinata, senza violare l’area sacra, che comincia con i gradini di accesso al Duomo. La salma di Fo arriva in piazza Duomo, invece, verso mezzogiorno, sotto una pensilina appositamente collocata dal Comune, che permette lo sconfinamento.
Non pochi, però, avranno pensato alle pagine di Guareschi. Nella saga di Mondo piccolo don Camillo acconsente a suonare i rintocchi funebri al passaggio del feretro di un giovane comunista, che ha preteso un funerale laico, ma con il suono delle campane della chiesa. Quest’ultima richiesta sembra al parroco della Bassa una sottintesa invocazione della misericordia divina. Forse è stato così anche per il giullare dei poteri forti. Più che le esequie di un uomo, allora, sono apparse quelle di tutto un mondo politico ed intellettuale, sotto gli occhi di Colei che ha fatto ammainare la bandiera rossa sul Cremlino.
Alle 15.30 ai nostalgici della III Rivoluzione succedono migliaia di chierichetti. Alcuni hanno la stessa età di un loro patrono cristero poche ore dopo canonizzato. Entrano ordinatamente per la Porta Santa del Duomo ed ivi sono accolti dall’arcivescovo. Il quale racconta loro di quando, a circa 10 anni, rimase inginocchiato davanti al Tabernacolo per quasi 2 ore accanto al beato card. Schuster, in visita pastorale a Malgrate.
“Io non ce la facevo più,ma vi assicuro che quella scena mi è rimasta in mente (…) come segno della grandezza che noi cristiani diamo, nel partecipare al Mistero eucaristico di Gesù, potendolo servire”.
Il passato è glorioso, ma l’attualità incombe e richiede testimonianze altrettanto forti.
“Nel passare la Porta Santa, vi siete impegnati a condividere il bisogno degli altri, soprattutto di chi sopporta grandi prove. Ho accolto con grande gioia l’impegno a dare la vostra disponibilità. Così come sono certo che pregate per i ragazzi e ragazze che hanno dato la vita in alcuni punti di questo mondo”, pensando in particolare a Siria ed Iraq.
Quasi citando alla lettera Gilbert K. Chesterton (Man Alive), lo scrittore inglese che previde un tempo in cui si sarebbe difeso a spade sguainate che l’erba è verde, il card. Angelo Scola dà poi un mandato ai chierichetti: “ragazze, ragazzi, siate vivi. Avete davanti l’avventura bella della vita, ma ciò che cambia il mondo è la tua persona, la nostra comunità, è la compagnia della Chiesa”. I cattivi maestri, come quelli celebrati la mattina, hanno devastato l’Italia di don Camillo. Ora bisogna ricostruirla. Terminata la celebrazione il sagrato si riempie di nuovo di parole di vita.
Michele Brambilla