La settimana di Ognissanti comincia per il card. Angelo Scola tra le corsie dell’istituto Sacra famiglia di Cesano Boscone, fondato 120 anni fa, noto ai più per essere stato il luogo dello svolgimento dei lavori socialmente utili per Silvio Berlusconi, sottoposto agli arresti domiciliari dopo il processo Mediaset (2015).
E’ soprattutto “espressione di una Chiesa che sperimenta ogni giorno la misericordia annunciando che la fragilità appartiene a tutti e che può rappresentare non chiusura, ma solidarietà”, come afferma l’arcivescovo durante la sua visita. La cultura contemporanea, mentre imbavaglia il linguaggio con il politically correct, ha in realtà un enorme timore della debolezza: la vorrebbe addomesticare con l’eutanasia, o esorcizzare con le carnevalate del 31 ottobre. “Nella nostra società, rischiamo di essere troppo legati solo a noi stessi, mentre queste realtà ci insegnano il primato dell’amore e della carità”, che significa saper riconoscere anche i propri limiti creaturali, i quali non sono una maledizione, ma una continua opportunità.
I Santi agirono così. La solennità del 1 novembre, con accanto l’altrettanto importante ricorrenza del 2 novembre, ce lo ricorda annualmente. Tuttavia, per gli ambrosiani esiste pure un terzo appuntamento con la santità, la festa del compatrono S. Carlo Borromeo (4 novembre), in occasione della quale il card. Scola convoca in Duomo tutto il clero diocesano proponendogli una celebrazione giubilare di penitenza.
“La santità non è un privilegio di pochi, ma una convocazione per tutti a cui ogni uomo e i battezzati in modo speciale, sono chiamati. I Santi non sono superuomini, né sono nati perfetti. Sono come noi. Ma cosa ha cambiato la loro vita? Conoscere l’amore di Dio e seguirlo con tutto il cuore: la via della santità è questa”, sostiene l’arcivescovo durante la Messa di Ognissanti. Il bombardamento di cattive notizie, dall’Italia centrale all’Iraq dell’ISIS, può creare assuefazione, ma i cattolici conservano “una speranza affidabile, perché poggiata su un fatto storico reale, la passione, la morte e la Risurrezione di Gesù, che ti vuole bene e non vuole lasciar perdere nulla di te”. Il cristiano è colui che ama anche la propria carne, contro ogni spiritualismo gnostico, pertanto si rinnova lo stimolo “all’edificazione di una società giusta”, a misura d’uomo e secondo il piano di Dio.
Il cattolico ama la carne perché crede in un Dio incarnato e riceve dalla Chiesa una dottrina sociale da applicare. Per la carne in senso paolino c’è la predicazione tenuta in Duomo la mattina del 4 novembre, durante la quale il romano mons. Angelo De Donatis, invitato dal card. Scola, mette alla berlina, con le parole di Papa Francesco, i vizi “dell’eccessivo funzionalismo, dell’Alzheimer spirituale, della rivalità, della vanagloria, della schizofrenia esistenziale, della doppia vita, dei pettegolezzi, dell’indifferenza verso gli altri, della faccia funerea, dell’accumulo dei beni materiali, degli esibizionismi e dei circoli chiusi”, presenti in vario modo nel clero ambrosiano, che deve invece essere pronto a “lavare le anime nel sangue di Cristo” tramite la Confessione, come avverte l’arcivescovo.
Le parole spese dal pulpito davanti a quasi 3000 sacerdoti sono per il card. Scola anche un “testamento pastorale”: il 7 novembre compie 75 anni e scattano le dimissioni canoniche per limiti d’età.
Michele Brambilla