Come non leggere un giudizio sull’orripilante vicenda del suicidio assistito, propiziato dai Radicali, di Dj Fabo, nelle parole accorate dell’omelia pronunciata dal card. Angelo Scola durante la commemorazione annuale del servo di Dio mons. Luigi Giussani? ““C’è un tempo per nascere e un tempo per morire”. Già tre secoli prima di Cristo Qoèlet stabilisce un tempo per ogni cosa, strappandola al caos e al non-senso”.
L’ispirazione viene infatti dalla lettura proposta dalla liturgia del giorno. Il Qoelet sembra essere stato scritto appositamente per la settimana in cui si esalta l’omicidio del consenziente. Nel libro sapienziale si può, infatti, intravedere anche il pericolo di una filosofia dell’eterno ritorno, nichilista e un po’ new age (guarda caso il pensiero che ha nutrito gli ambienti di vita e il gesto estremo di Dj Fabo), cosa che costituisce “una tentazione che, se non vigiliamo, ci può sorprendere e abbattere fino a farci perdere il valore della vita come dono che conduce ad affrontare anche la morte, in tutta la sua dolorosa drammaticità, come abbandono” alla volontà di un Dio provvidente per il quale l’uomo ha una dignità incommensurabile in ogni condizione si trovi, “dal concepimento alla fine naturale”, come scandisce per ben due volte l’arcivescovo dall’ambone del Duomo.
Giusto mentre un Marco Cappato dal volto diabolicamente angelico percorre l’Italia alla ricerca di altri disperati da spedire in Svizzera, il card. Scola si ritrova a presentare la ristampa della celebre Pedagogia del dolore innocente del beato Carlo Gnocchi. “Le maggiori difficoltà contro il dolore e contro la sua attribuzione, nascono da una concezione esclusivamente individualistica e punitiva del dolore stesso, in quanto si crede che nell’uomo la sofferenza sia un affare del tutto personale e una espiazione rigorosamente commisurata alle colpe individuali. Nulla di più falso nella concezione cristiana della realtà”.
La fidanzata di Dj Fabo ha postato su Facebook un articolo anticlericale in cui si dipingeva Dio come un giudice astratto, venale e lontanissimo. Ma questa descrizione è l’opposto del Dio cristiano, che ha voluto incarnarsi, condividere fino in fondo anche il dolore umano. “La civiltà non può fondarsi sullo scarto e la dignità dell’io non può esaurirsi nella sua salute: siamo tutti corresponsabili del mondo intero, dice Gnocchi secondo quella misteriosa legge che rende gli uomini consorti, perché abbiamo la stessa sorte”, per i credenti l’abbraccio con quel Dio misericordioso che si è rivelato nel Crocifisso risorto. Occorre perlomeno riconoscere laicamente che una società in balia di un “individualismo narcisista che è una sorta, ormai, di autismo spirituale” è candidata a precipitare nell’anarchia più ferina.
“La sacralità della vita viene dalla impossibilità di autogenerarsi e, allora, dobbiamo rispondere a questa vita donata con il dono gratuito di noi stessi. Questa è la prospettiva che ci ha insegnato don Gnocchi. Non dobbiamo cercare una spiegazione teorica alla sofferenza, ma una presenza, quella del Signore”, che abiti sia il più piccolo atto di carità quotidiano che i grandi snodi dell’esistenza.
Michele Brambilla