Il mondo laicista, ed i Radicali in particolare, vestono improvvisamente i panni del sacrestano se possono sfruttare una liturgia per minare ulteriormente l’immagine della Chiesa e la sacralità della vita. Così ha fatto Marco Cappato non appena è venuto a sapere che la Curia di Milano aveva autorizzato una funzione per Fabiano Antoniani (Dj Fabo) presso la parrocchia in cui il defunto aveva seguito il catechismo (S. Ildefonso): subito ha sentenziato che si trattava di un’apertura della Chiesa intera a riconsiderare la dottrina sull’eutanasia. Così hanno titolato anche i giornali, lanciandosi in spericolati paragoni con il caso Welby.
La celebrazione milanese sorge interamente dalla volontà della madre, che desidera dare privatamente un saluto religioso al figlio, che non si definiva più credente e che non ha richiesto per sé funerali ecclesiastici completi. Nel dicembre 2006, per Piergiorgio Welby, si vide invece, soprattutto da parte dei Radicali, la pretesa di una Messa pubblica, volutamente esaltatoria del gesto suicida, il che avrebbe condotto ad un duplice sacrilegio: la forzatura della volontà del defunto e la profanazione dello spazio sacro della chiesa nel caso, rivelatosi concreto, che le esequie si trasformassero in comizio anticattolico. Pertanto il card. Camillo Ruini, allora vicario dell’Urbe, pose un veto prudenziale quanto mai necessario.
Il rito per Dj Fabo è stato appositamente fissato la sera del primo venerdì di Quaresima, data in cui il Rito ambrosiano non prevede la Messa neanche in caso di funerali (lo Sposo è stato tolto alla Sposa), ed è stato composto da una semplice liturgia della Parola. La ritualità ambrosiana abituale si concilia perfettamente con la richiesta di una preghiera “in tono minore”, più meditativa e più simile a quello che un tempo sarebbe stato un funerale “a lumi spenti”, per di più senza la presenza fisica della salma di Antoniani, già cremata e dispersa nel Gange.
Nei comunicati emessi, l’arcidiocesi di Milano sottolinea che vicinanza umana non significa derogare minimamente alla dottrina cattolica sull’eutanasia. “Il giudizio della Chiesa sull’eutanasia e sul fine vita non cambia”, come ha ripetuto anche il card. Angelo Scola pochi giorni prima: “siamo amati da Dio, in ogni rapporto e circostanza favorevole o meno, e la morte, la Risurrezione e la Croce di Gesù sono il segno di questa compagnia costante. È una stretta, quella della Trinità, che ci accompagna dal concepimento fino al termine naturale della vita”.
Il parroco di S. Ildefonso, don Antonio Suighi, annunciando la commemorazione aveva chiesto, d’accordo con la famiglia Antoniani, di evitare qualsiasi intervento di politici, giornalisti o estranei al funerale. Per il sacerdote il gesto non implicava nessuna esaltazione e nessun cedimento dottrinale. Le raccomandazioni non sono riuscite, però, ad impedire la vergognosa irruzione sul sagrato del sindaco Giuseppe Sala e dei militanti radicali, che hanno “onorato” la “liberazione” di Fabiano con nuovi proclami pro-eutanasia e persino fuochi artificiali.
Sarebbe forse stato meglio non comunicare l’orario o il luogo della veglia, ma un ruolo determinante lo hanno giocato i social network, bypassando i comunicati ufficiali. Forse non si è stati sufficientemente “astuti come serpenti” (Mt. 10,16) nel controllare la situazione. Nelle parrocchie ci si fida ancora troppo della presunta imparzialità dei media.
Michele Brambilla