La mattina del Giovedì Santo il card. Scola (75 anni) celebra quella che forse è la sua ultima Messa crismale da arcivescovo in carica. Il testo dell’omelia fa continua memoria della visita di Papa Francesco a Milano lo scorso 25 marzo e prende come parole cardine il discorso di via Salomone. “Il sacerdote cristiano è scelto tra il popolo e al servizio del popolo; il mio sacerdozio, come quello del vostro parroco e degli altri preti che lavorano qui, è dono di Cristo, ma è “tessuto” da voi, dalla vostra gente, con la sua fede, le sue fatiche, le sue preghiere, le sue lacrime”.
Parole che l’arcivescovo connette a quanto egli ha più volte ripetuto durante le assemblee del clero: “come è emerso con particolare forza nei sette incontri zonali del presbiterio, l’auspicata riforma domanda anzitutto il recupero della coscienza che il nostro ministero è un dono del Signore e come ogni dono va quotidianamente invocato e custodito. Non ci sarà riforma se non a partire dal riconoscimento della precedenza del dono di Cristo attraverso la Chiesa”. E’ sostanzialmente un invito all’umiltà, in terre in cui, spesso, si è concretizzato l’adagio “(in paese) non si muove foglia che il parroco non voglia”.
Il popolo è costante invito, per il sacerdote, al decentramento, per accogliere sempre, invece, Cristo nei fratelli. “Il popolo cristiano non è semplicemente il destinatario del nostro ministero, ma ne è la ragion d’essere e ci indica la modalità storica in cui tale ministero chiede di essere esercitato. Non sono né le nostre idee, né la nostra sensibilità, né le nostre preoccupazioni a modellare il nostro ministero, ma la sete e la fame di Dio che abita il cuore dei nostri fratelli uomini”.
Non è uno sprone a moltiplicare, di nuovo, le iniziative pastorali, quasi la nuova evangelizzazione si condensasse nel fare, bensì a “disimpegnarsi” nel senso giusto, seguendo tre indicazioni. La prima è preservare “la principale nostra risorsa”, ovvero “unità e pluralità” del popolo di Dio. Il Sabato in Traditione Symboli ha voluto incontrare, non a caso, in due momenti i movimenti e le associazioni e li ha fatti sedere accanto ai monsignori di Curia.
La seconda riguarda il diaconato permanente, che il Papa desidera sia sempre di più figura di mediazione, essendo quella parte di clero (primo grado del Sacramento dell’Ordine) che vive la stessa vita dei laici. “Il diacono «è –per così dire– il custode del servizio nella Chiesa», cioè, ha come compito «ricordare a tutti noi che la fede nelle sue diverse espressioni (…) e nei suoi vari stati di vita (…) possiede un’essenziale dimensione di servizio»”. Il sacerdote non deve agire da monarca assoluto illuminista e la vita quotidiana del laico riveste una certa “sacramentalità”, poiché è una cooperazione al disegno del Creatore, come afferma la dottrina sociale della Chiesa.
La terza indicazione è tratta dalle parole ai religiosi, ma è valida, “con le debite distinzioni, per tutti gli stati di vita”, oltre che riassuntiva di quanto detto finora. E’diventare missionari con un’esistenza che sia “confessio Trinitatis, signum fraternitatis e servitium caritatis”. La Rivoluzione esalta esistenze corrotte profondamente dal male, come è evidente in questi giorni di battaglia sulle DAT: i cattolici devono invece profumare di Cristo. Il Crisma, come ha ripetuto nello stesso giorno un vice-parroco della campagna ambrosiana, è l’unico olio santo che profuma perché è quello dedicato alla vita attiva del cristiano.