di Michele Bramilla
“Già 5 anni sono passati. Il tempo è terribile, ma è anche un miracolo. Si, rode le sue opere, si nutre delle sue macerie, sbriciola ogni moto del cuore. Dove sono quelle pene e le gioie? Nel nulla? No, nel più profondo essere”. Così mons. Gianantonio Borgonovo, arciprete del Duomo di Milano, si rivolge al card. Angelo Scola all’inizio della celebrazione che nel pomeriggio del 31 agosto raduna molti milanesi ad un lustro esatto dalla morte del card. Carlo Maria Martini (1927-2012), gesuita, biblista, arcivescovo ambrosiano dal 1979 al 2002.
Non è il solo anniversario episcopale di questo 2017. Il 20 maggio erano 25 anni dalla morte di un altro arcivescovo, il card. Giovanni Colombo (1902-92), predecessore di Martini (1963-79). Prima ancora, 12 maggio, ricorreva il ventennale della beatificazione del card. Alfredo Ildefonso Schuster (1929-54). Il giudizio su gesti e scritti del card. Martini non è, però, unanime come per costoro. Nel suo discorso mons. Borgonovo bolla con una battuta salace le forzature e le ricostruzioni parziali, in chiave relativista ed antiecclesiale, alimentate dagli ambienti laicisti: “hanno scritto tanti libri di “hadith”, direbbero i musulmani, di detti mai detti di padre Carlo. (…) Solo polvere e cenere, che non riescono a sbeccare i tesori vivi della sua eredità”.
I recenti funerali del card. Dionigi Tettamanzi hanno risvegliato i ricordi delle esequie del card. Martini (3 settembre 2012). Il card. Scola disse in quell’occasione: “per lui è pronto un regno come quello che il Padre ha disposto per il Figlio Suo, l’Amato. (…) Il Cardinal Martini, che ha annunciato e studiato la Risurrezione, l’ha più volte sottolineato. Con parole tanto semplici quanto potenti San Paolo ne coglie la natura quando scrive: «Per sempre saremo con il Signore» (1Ts 4, 17)”.
Il card. Scola 5 anni dopo lascia a sorpresa il pulpito all’arcivescovo eletto, mons. Mario Delpini, che, proseguendo sulla linea del predecessore, traccia un parallelismo tra gli otto giorni di Hanukkah istituiti in II Maccabei 10,1-8 (la prima lettura) e l’ottava della Pasqua cristiana, “dramma che chiama a giocarsi, come un fuoco che ti fa diventare fuoco. (…) La gioia degli Otto Giorni è il dono della Pasqua di Gesù e abita nel popolo santo di Dio, la gioia misteriosa e invincibile che lo Spirito tiene vivo in noi e che noi siamo chiamati a custodire con gratitudine e vigilanza perché non si spenga”.
Il giovane padre Martini esordì nel campo teologico con una tesi sulla risurrezione di Gesù, mistero che innerva tutta la vita cristiana. Il suo operato e il suo magistero episcopale (dal quale esulano gli interventi posteriori al 2002, i più discussi) si comprendono esclusivamente all’interno della tradizione della Chiesa. I vescovi “sono diversi tra loro, hanno parlato linguaggi diversi, hanno vissuto in tempi e condizioni diverse, ma tutti hanno servito la Chiesa di Milano e ne hanno cercato l’unità. In questo dobbiamo riconoscere che il loro servizio è stato convergente a un unico scopo”.
La ricerca dell’unità, che mons. Delpini coglie come cifra anche dell’episcopato del card. Scola, diventa istantaneamente l’augurio che l’arcivescovo eletto formula per se stesso alla vigilia dell’avvicendamento: “continui la gioia degli Otto Giorni: questo essere insieme che rende possibile offrire una testimonianza credibile e affrontare le sfide formidabili che ci stanno davanti”.