Si suole dire tra ecclesiastici che un vescovo si “sposa” con la sua diocesi. L’8 settembre 2017 la Sposa, la Chiesa locale, fa percepire al suo pastore uscente tutto l’affetto di cui è capace. La Messa di saluto è alle 21.00, ma già attorno alle 19.00 una fiumana interminabile di ambrosiani preme per entrare in Duomo e dire il suo personale grazie a chi ha retto Milano per sei, intensissimi anni.
Nel 2011, lasciando Venezia, il card. Scola ripeteva: “torno nella mia terra”. Anche questa sera non manca di ricordare che Milano “mi ha generato alla Fede”, la fede popolare della quale continua a veder sussistere le radici profonde. Il simbolo di questa fede è “una piccola teca con la tradizionale immagine di Maria in fasce”, che “ha occupato la mia immaginazione infantile” perché aveva un posto d’onore anche nell’abitazione degli Scola di Malgrate. “La Chiesa milanese, al di là di tutte le rilevazioni statistiche, è ancora, nelle sue radici, una Chiesa di popolo. (…) E finché le radici sono vitali, l’albero può tornare florido. Se la Chiesa di Milano è una Chiesa di popolo, allora in essa qualunque uomo e qualunque donna, in ogni momento e condizione, può trovare la sua casa definitiva” facendo “l’esperienza del bell’amore” di cui la Vergine è testimone.
Se il primo grazie del card. Scola è per il permanere della tradizione popolare, il secondo va proprio ai segni di rinascita del tessuto sociale cittadino, “fotografabile” nei grattacieli sorti in questi anni. “Qualche anno fa, in un Discorso di sant’Ambrogio, dissi che a Milano mancava l’anima. Alcuni contestarono questa mia affermazione. In parte avevano ragione, altrimenti questa crescita della metropoli non si spiegherebbe. Tuttavia c’è ancora un cammino da compiere”, che è quello di “educarsi al pensiero di Cristo”, come dice la rappresentante del consiglio pastorale diocesano nei saluti conclusivi, citando una lettera pastorale dell’arcivescovo, quella in cui lui stesso vede concentrarsi tutto il suo pensiero.
Rinascere è impossibile senza le radici profonde. “Non dimenticarti di Dio, avevo raccomandato alla nostra città all’inizio del mio ministero in mezzo a voi, perché «Dio è con noi» (Vangelo, Mt 1,23). Questa memoria – in sei anni l’ho potuto toccare con mano – è ancora viva in molti tra le generazioni adulte dei vecchi e nuovi milanesi. Ma non sempre sappiamo vedere l’enorme potenziale di speranza e di costruzione di vita buona, cioè bella, vera e giusta, che tale memoria contiene. Di conseguenza spesso non riusciamo a farlo scoprire ai giovani. L’anima è ciò che dà vita. È la sostanza di ogni realtà e la conduce alla pienezza di senso, facendola fiorire”.
L’arcivescovo paragona Milano alle ortensie che osserva salendo verso Imberido di Oggiono, paese lecchese che diventerà la sua nuova dimora. “È impossibile evitare tutte le volte un “Oh!” di meraviglia. Amandolo e coltivandolo, qualcuno ha dato vita a quel giardino. Gli ha dato un’anima”. Così hanno fatto con Milano tutti i suoi predecessori. Sia mons. Erminio de Scalzi, a nome del clero, che il rappresentante dei laici danno pubblicamente atto al card. Scola di possedere un senso profondo della Storia ambrosiana nella sua continuità.
“Carissime, carissimi, amiamo Milano e la sua Chiesa!”. Mentre scende commosso dal pulpito, la sua gente gli tributa un lungo, spontaneo applauso, che vuole essere l’anticipazione dell’abbraccio che si prolunga, al termine della celebrazione, fino allo scoccare della mezzanotte. La mezzanotte di mons. Mario Delpini.
di Michele Brambilla