Il celebre inno di Comunione e Liberazione Povera voce presenta l’angoscia dell’uomo moderno, che si è negato da solo le risposte alle domande esistenziali ed è rimasto una “povera voce senza più un perché”. La risposta è proprio tornare a Cristo: solo accogliendo il Salvatore “(…) la nostra voce canta con un perché”. E’ lo stesso filo conduttore che unisce le omelie di mons. Mario Delpini pronunciate in Duomo e al Cimitero Monumentale la mattina e il pomeriggio del 1 novembre, sua prima festa di Tutti i Santi da arcivescovo di Milano.
Prendendo come spunto il cantico degli eletti in Ap 7,2-4.9-14, la lettura del giorno, mons. Delpini constata la distanza siderale del borbottio continuo della città moderna (anche da punto di vista dei rumori materiali, come lo stridore dei tram o lo strombazzare del traffico) dalla gioia che ci si aspetta dai battezzati. “Dall’alveare abitato più che un cantico di esultanza si ascoltano grida. Grida di rabbia, insulti di violenza, grida che invocano aiuto. Il grido dà voce al dolore, esplode nella ribellione, è come lo sfogo incontenibile della ferita che strazia la carne o trafigge l’anima. Nella strada della città si ascoltano grida, sulle scale dei condomini, dalle finestre aperte delle solitudini, dallo sfidarsi dei violenti giungono grida e fanno paura. O città, mia città, città delle grida!”.
L’uomo moderno non loda Dio perché, in fondo, è scontento della sua vita e crede di non avere alcun motivo di gratitudine ad un eventuale Creatore. Il bene, invece, c’è, è lui che non lo vuole vedere e si condanna, così, all’infelicità. “La musica assordante, la parola gridata, il suono provocatorio si impone, come una distrazione là dove non si vuole, non si po’ pensare” perché impedirebbe l’omologazione almainstream.
“Forse il ricordo dei morti potrebbe propiziare il silenzio. Finalmente il silenzio!”. Il 2 novembre il defunto card. Dionigi Tettamanzi viene iscritto all’albo del Famedio. “La commemorazione, la celebrazione dei trapassati può essere una scuola di sapienza, di quella sapienza che aiuta a vivere” e che si gusta soltanto diradando attorno a noi i rumori e ponendoci davanti le biografie di chi davvero ha saluto costruire qualcosa per sé e per gli altri.
Guarda caso troveremo quasi sempre cristiani: il Famedio, edificato a fine Ottocento per esaltare le “glorie” della Milano laica, o al massimo cattolico-liberale, si sta lentamente riempiendo di nomi di cattolici senza aggettivi. “La celebrazione eucaristica ci rende partecipi del cantico dell’esultanza perché celebra l’appartenenza: chi è segnato con il sigillo del Dio vivente si riconosce “servo del Signore”, si affida a lui e sperimenta l’alleanza di Dio: se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Io sono infatti persuaso che né vita né morte né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore”, dice l’arcivescovo citando l’epistola paolina (Rm 8,28-39).
“C’è da domandarsi come mai il mondo non sia ancora finito, come mai l’umanità non sia ancora estinta e che cosa consenta alla terra (…) di ospitare uomini e donne che ogni giorno fanno di tutto per distruggerla”. La risposta è il lavoro silenzioso dei tanti giusti che “attraversano, come tutti, giorni di festa, ma non si esaltano, non attirano l’attenzione su di sé, (…) che sperimentano giorni di tribolazione, ma non si abbattono oltre misura” perché accompagnati dalla Grazia.